martedì 21 febbraio 2012

Ma che vita è la nostra se non c'è il Paradiso? San Paolo lo spiega



 
Celentano è un discoletto. Il suo passaggio a Sanremo ha lasciato risentimenti che verranno assorbiti dalla capacità di dimenticare che ci accomuna. Ma una cosa vera l’ha detta: ma che “caspita” di vita è la nostra se non c’è il Paradiso? E’ un’idea che, in altri modi espressivi, è cara al Papa ed è un concetto dominante nelle lettere di San Paolo. Quando verrà disfatto questo corpo …riceveremo un’abitazione da Dio… E’ Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato l’anticipo dello Spirito (2 Cor). Più chiaro di così… Lo Spirito Santo è la “caparra”, è l’anticipo della vita eterna. Ed è per questo che i santi sono sempre contenti mentre chi si lascia andare è triste.
Nella nostra storia c’è uno scendere e un salire. Lo scendere è di Adamo che sospetta di Dio e vuol decidere lui cos’è bene e male. Una discesa che porta alla sofferenza durante la vita e alla morte che la conclude. Il salire è di Gesù che sceglie la via del servizio al Padre e agli uomini. La via di Gesù porta il sole dell’allegria nella nostra valle di lacrime e conduce alla vita eterna. Lo Spirito di Dio, che sta nel profondo del nostro cuore, rende lieti i nostri giorni e ci fa seguire l’esempio di Gesù che lava i piedi ai suoi amici e s’immola per loro. E’ il mistero della nostra vita: chi si dà ritrova la gioia. Chissà perché tendo sempre a dimenticarlo. Perciò cerco ogni giorno di assumere ogni giorno la vitamina V: leggere il Vangelo con il resto del Nuovo Testamento fra cui le lettere del grandissimo San Paolo.


       

mercoledì 15 febbraio 2012

Benedetto ha anticipato Celentano di due anni



Circa due anni fa, parlando - come direbbe Celentano - a "preti e frati" per di più teologi, il Papa ha detto quanto segue: 
Noi oggi abbiamo spesso un po' paura di parlare della vita eterna. Parliamo delle cose che sono utili per il mondo, mostriamo che il Cristianesimo aiuta anche a migliorare il mondo, ma non osiamo dire che la sua meta è la vita eterna e che da tale meta vengono poi i criteri della vita. Dobbiamo capire di nuovo che il Cristianesimo rimane un «frammento» se non pensiamo a questa meta … e dobbiamo di nuovo riconoscere che solo nella grande prospettiva della vita eterna il Cristianesimo rivela tutto il senso. Dobbiamo avere il coraggio, la gioia, la grande speranza che la vita eterna c'è, è la vera vita e da questa vera vita viene la luce che illumina anche questo mondo.

Benedetto XVI
(dall’omelia per la S. Messa con la Pontificia Commissione Biblica, 17 aprile 2010)

Ferma restando la solidarietà ad Avvenire e a Famiglia Cristiana, non mi pare che sia una novità ciò che ha osservato Adriano. "Preferisco il Paradiso" aveva detto San Filippo Neri, non alla tv ma a un cardinale. 


giovedì 9 febbraio 2012

Se leggo, ascolto e medito ciò che dice Benedetto troverò Giovanni Paolo II




“Non riesco a trovare con questo Papa la sintonia che avevo con Giovanni Paolo II”. E’ un’affermazione che tutti abbiamo sentito più volte  e conviene soffermarsi a considerarla. Giovanni Paolo II era un modello non solo di sacerdote ma di uomo, di cristiano. Niente mancava alle sue corde: è stato un battistrada della santità, un esempio di come Dio vuole che sia il cristiano oggi. Joseph Ratzinger ha collaborato in vicinanza fisica con lui per quasi 25 anni. La stima e l’affetto di Wojtyla nei suoi confronti erano evidenti, come evidente è stato il contributo di Ratzinger alla solidità dottrinale di quel pontificato.
  Quando Ratzinger fu fatto vescovo scelse come motto “Collaboratori della verità”: fin da giovane è stato attratto dalla verità più che da ogni altra cosa. Il suo carattere dolce, gentile e leale, aiutato dalla grazia di Dio, lo portava a questo. Perciò come professore di teologia è stato sempre apprezzato dai suoi allievi. Le sue lezioni erano affollate oltre misura: dicevano che in lui la teologia diventava preghiera. E’ la sua missione: riportarci alla vera figura di Gesù. Questo è il senso del Catechismo da lui elaborato da cardinale, dei suoi bellissimi libri scritti da papa, del prossimo anno della fede da lui indetto, oltre che della sua immensa produzione teologica e di magistero. Darci Gesù, così come Gesù è davvero: è un compito meraviglioso che sta svolgendo in modo meraviglioso. Leggerlo e ascoltarlo è continuare a stare con Giovanni Paolo II.



venerdì 3 febbraio 2012

Homo homini lupus. Il cristiano non è così





“Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi”. Sono parole di Gesù (Mt10,16) rivolte ai discepoli in partenza per una missione apostolica. Quando Gesù usa il paragone della pecora non allude alla debolezza remissiva, indica il coraggio di andare laddove il pericolo è superiore alle nostre forze. Il richiamo alla pecora fa capire che il messaggio da diffondere non è aggressivo: è un messaggio suadente per la sua verità intrinseca. Si tratta di proporre non di imporre. Sarà la grandezza di Dio a dare efficacia alla testimonianza.
Subito dopo dice ai discepoli “siate semplici come colombe e astuti come serpenti”. Le due cose sono compatibili. Non bisogna essere ingenui ma astuti, e nello stesso tempo con la semplicità di chi porta la pace dentro e fuori di sé.
Il cristiano è chiamato a testimoniare Gesù nell’ambiente di lavoro e in famiglia. Nel lavoro spesso sembra che il filosofo inglese Hobbes avesse ragione quando ripeteva la frase antica homo homini lupus: l’uomo è un lupo per l’uomo. Frase orribile e antipatica per chi ha un cuore cristiano. Il seguace di Gesù non è un lupo ma un amico. “Vi ho chiamato amici” afferma Gesù. L’amico è chi accetta l’altro per quello che è, lo giustifica e l’aiuta.
Lo stesso in famiglia dove il cristiano deve desiderare di rendere contenti gli altri, stimandoli, senza avere un’idea troppo elevata di se stesso (S. Paolo, Romani 12).
Ecco, nella famiglia e nell’ambiente di lavoro, Gesù mi chiede questo: saper essere un amico sincero, umile e affettuoso.