martedì 16 agosto 2011

Una serata particolare a Cortina InConTra



Il 30 luglio scorso ho partecipato ad un incontro a Cortina con l'on. Umberto Scapagnini, il prof. Franco Mandelli e Cino Tortorella, il mitico mago Zurlì della nostra infanzia. Moderava Jole Cisnetto. Una serata di testimonianze, con lacrime dei relatori e del pubblico che ha sottolineato i momenti più toccanti con applausi a scena aperta. Scapagnini e Tortorella sono reduci da esperienze di coma prolungato ed entrambi sono convinti che la Provvidenza li ha lasciati in vita per svolgere una missione di testimonianza. Il Prof. Mandelli ha ricordato il caso di una ragazza morta di leucemia che gli ha rubato il cuore per la sua delicatezza e capacità di dar conforto agli altri. Tutti d'accordo che, se tutti gli incontri fossero così, converrebbe passare l'estate a Cortina.

Pippo C.



lunedì 15 agosto 2011

There be Dragons e il ricordo di San Josemaría per la rivista Tempi in occasione della presentazione del film al Meeting di Rimini 2011




  Ci sono dei film che ti rendono migliore. Questo è il caso di There be dragons il film del regista Joffé, che ha firmato anche Mission. La storia racconta di due amici: il piccolo Josemaría Escrivá e un suo compagno di giochi, Manolo. Dopo gli anni della fanciullezza la vita li separa e, mentre Josemaría sceglie la strada del sacerdozio, il giovane Manolo intraprende quella dell’egoismo e della vendetta che lo conduce a compiere crimini orribili nel quadro della guerra civile spagnola. Alla fine della vita arrivano per Manolo il pentimento e il perdono, grazie anche all’affetto di  Josemaría che non smette di scrivergli e seguirlo con la preghiera. Parallelamente l’itinerario della vita di Josemaría percorre l’ordinazione sacerdotale, la visione della chiamata alla santità attraverso il lavoro quotidiano e la formazione dei primi membri dell’Opus Dei in quei difficili anni. Al termine della pellicola si rimane convinti che il perdono è la vera arma del cristiano.
There be Dragons è un film tosto con un messaggio forte. La sensibilità del regista è stata tale che chi ha conosciuto personalmente San Josemaría (proclamato santo nel 2002) non soffre nel veder raffigurata con un altro volto la persona conosciuta; piuttosto si compiace nel ritrovare il clima di famiglia che don Josemaría creò con i primi giovani che lo seguirono.
  Ho conosciuto il fondatore dell’Opus Dei cinquant’anni fa e ho avuto l’opportunità di stare con lui in tante occasioni, tutte significative, direi impressionanti. L’esperienza di questo rapporto, ha portato in me cambiamenti di prospettiva di 180 gradi. Potrei raccontare tanti momenti commoventi vissuti accanto a lui. Dopo quegli incontri avevamo le lacrime agli occhi, non solo per la fede contagiosa ma anche per l’umorismo e l’allegria traboccanti. Quando l’ho conosciuto ero appena uscito dal liceo. Pensavo che la fede fosse il frutto di un’elaborazione intellettuale e che per portare le persone a Dio occorresse “addottrinarle”. San Josemaría era una persona che sapeva voler bene e mi fece capire che l’amore di Dio si percepisce attraverso l’amicizia. C’è una sua frase che mi è rimasta impressa: “Ci sono cuori che sembrano di bronzo ma che si sciolgono in lacrime al calore dell’amore di Cristo”. Ciò che conta è il nostro amore per Gesù che si riversa nella capacità di affetto verso gli altri. C’è un unico calore che la grazia di Dio suscita in noi e ci rende cordiali ed efficaci nei confronti degli altri. Un giorno don Josemaría chiese ad una suora malata: “Come stai?”. La suora rispose: “le mie consorelle mi trattano con carità, mia madre mi trattava con affetto”. Il Signore gli faceva capire che l’amore vero è quello che si traduce in particolari concreti, in “fatti” affettuosi che rendono amabile la vita agli altri. In sintesi direi che da San Josemaría ho imparato a voler bene, una scienza in cui non si sa mai abbastanza.
 San Josemaría faceva notare che Gesù definisce il “distintivo” del cristiano, che non consiste nella castità o nella cultura o altre qualità tutte encomiabili. “Da questo vi riconosceranno che siete miei discepoli: che vi amiate a vicenda come io vi ho amato” dice Gesù nel Vangelo di San Giovanni. A San Josemaría piacevano tanto queste parole che ne fece fare un cartello per la sala di studio della prima residenza universitaria. Quando il sacerdote tornò a Madrid dopo la fine della guerra trovò la residenza universitaria distrutta. Solo quel cartello era rimasto intatto. Un piccolo segno della Provvidenza a favore di quell’amore che primeggia su tutto. In sintesi: l’unione con Dio è una priorità assoluta, da cui scaturisce il rapporto d’amicizia con gli altri.
La santificazione del lavoro era una conseguenza di questo rapporto intenso con Dio. Il Dio creatore aveva affidato il paradiso terrestre alla cura di Adamo, quasi a continuare la creazione. Il Dio fatto uomo aveva lavorato e traeva le immagini della sua predicazione dall’esperienza della vita quotidiana: le barche e le reti, il pastore e le pecore, la vecchia che perde la moneta, il giudice iniquo che cede alle insistenze, il mercante di perle e così via. Tutto nella vita nostra può essere trasformato in oro come il re Mida: l’oro del lavoro fatto con amore. Per me che sono napoletano l’impegno nel lavoro viene espresso col verbo faticare che non risulta attraente in prima istanza. Ma quando il lavoro ben fatto diventa espressione dell’amore di Dio le cose mutano. C’entra di mezzo il cuore, “ ‘o core”, e la prospettiva cambia. Si lavora con gioia migliorando se stessi, contagiando la serenità e la fede ai colleghi di lavoro. L’unico valore che oggi non viene messo in discussione è quello della professionalità. Ma la professionalità viene spesso intesa non come espressione di amore ma del desiderio di affermare se stessi e dimostrare con i soldi e il successo di far parte di una classe eletta. In altre parole il calvinismo angoscioso si è introdotto nel nostro stile di vita, portandovi durezza e frustrazioni. La professionalità di Escrivá è invece gioiosa e comunicativa. Si lavora per portare gli altri a un livello superiore da cui a loro volta ripartiranno, con solidarietà e collaborazione. Si lavora per rendere il mondo più bello e più umano, non per tenere alto l’indice del profitto. Il cristiano laico ha molto da imparare da questa prospettiva. Le faccende quotidiane non sono più una distrazione  dalla quiete della preghiera ma sono l’occasione per seguire le tracce di Gesù. Nella vita di lavoro, come in quella familiare e di relazione, si ripetono le circostanze della vita del Maestro. Ci sono gli evviva e i crucifige, ci sono le amicizie e i tradimenti, ci sono i riconoscimenti e le derisioni fino alla sofferenza e la morte. Il cristiano, insegnava, è felice di vivere e felice di morire e ha sempre nel cuore quell’Amore che canta. Se non ci fosse quel necessario rapporto personale con Dio tutto crollerebbe.
  In San Josemaría era viva quella distinzione tanto chiara nell’insegnamento di Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo”. Il regno di Dio, la Sua signoria, sono dentro il nostro cuore, non costituiscono un potere terreno. Gesù rifiuta di esser fatto re: il suo regno è dentro. Il laico, osservava S. Josemaría, ha questo compito affascinante: vivere intensamente la vocazione cristiana interpretandola al meglio nella sua situazione, che è una situazione di libertà. La Chiesa non è un partito, un gruppo, una squadra, un’azienda. Il regno dei cieli è un lievito che fermenta tutto. Il laico cristiano illuminerà e riscalderà il suo ambiente  col suo amore e il suo impegno ma non pretenderà in nome del cristianesimo che gli altri condividano le sue scelte opinabili. “Siamo d’accordo nel non essere d’accordo” come nelle buone famiglie in cui ci si vuole bene anche se un figlio è di destra e un altro è di sinistra. Amore di Dio, affetto per gli altri, fedeltà agli amori, lavoro ben fatto, libertà: ecco alcune prospettive che San Josemaría ha fatto fiorire nel mio cuore e nel cuore di tante persone disperdendo i dragons dell’odio e dell’egoismo.
Pippo Corigliano

mercoledì 3 agosto 2011

La cartolina dell'8 agosto ricorda don Giussani e il Meeting di Rimini




I giovani. La prima impressione del Meeting sono stati i giovani: volontari, hostess e autisti. Gli autisti: ognuno con una professione diversa e interessante. Nessuno faceva l’autista di mestiere ma tutti egualmente dedicavano volentieri le loro ferie per servire. Servire, una parola ormai desueta che al Meeting diventa splendida, come è giusto per i cristiani. Mi emoziona che Gesù, prima di darci il suo corpo e il suo sangue nell’ultima  cena, abbia sentito il bisogno di lavare i piedi ai suoi amici, a noi, in modo che rimanesse chiaro che il servizio è il distintivo del cristiano.
  Poi viene la capacità organizzativa degli animatori del Meeting che è un unicum nel panorama italiano e, nello stesso tempo, è espressione dell’italianità più autentica. Nel Meeting ho visto gli italiani veri, quelli che hanno cuore e testa, inventiva e laboriosità. Per me i 150 anni dell’Italia  si vedono e si toccano al Meeting.
  Al Meeting si incontra don Giussani. Vive nello sguardo e nelle parole dei protagonisti. Anni fa sono intervenuto per la presentazione di una raccolta di canzoni napoletane cantate da Tito Schipa delle edizioni Spirto Gentil. Nell’introduzione don Giussani raccontava che aveva incontrato dei monaci buddisti giapponesi che pregavano cantando Torna a Surriento! A Giussani, milanese, piacevano le canzoni napoletane perché gli piaceva l’umanità, quell’umanità che Gesù aveva impersonato diventando come noi. Il predicatore dell’evento, dell’incontro con Gesù, si commuoveva con le canzoni di quella città così tribolata e così umana. Grazie don Giussani, grazie anche per averci regalato il Meeting.

lunedì 1 agosto 2011

Sulla Madonna la cartolina per Tempi del 1 agosto


Augias, Montanelli e la Madonna

POSSIAMO AFFIDARCI CON SICUREZZA
ALL'ABBRACCIO MATERNO DI MARIA


Agosto, mese di riposo e mese di una festa importante della Madonna: l’Assunzione, che cade il giorno 15. Sembra troppo bello poter contare su una Madre affettuosa che veglia su di noi. Corrado Augias, durante una trasmissione televisiva, mi ha ripetuto la vecchia ipotesi cara ai filosofi tedeschi dell’800: Dio, gli Angeli e i santi non sarebbero che proiezioni del nostro desiderio di essere confortati e aiutati.
  L’affetto per la madre e per il padre ha radici profonde. Quando gambizzarono Indro Montanelli andai subito a trovarlo. L’indomito spadaccino della penna era euforico per la prova superata. L’unica preoccupazione era per la sua “mammetta” novantenne. Aveva dato ordine di farle il black out attorno: niente notizie da tv, radio, giornali. Le parlò a lungo per telefono e, alla fine della conversazione, le raccomandò di non preoccuparsi se sentiva parlare di un attentato perché lui stava benissimo. Mi commosse questa preoccupazione, propria di un figlio buono.
 La paternità e la maternità terrene derivano da un Dio che ha in sé la paternità, la filiazione e l’amore. La Madonna ci svela il volto materno di Dio e La possiamo abbracciare come il bambino Gesù in un abbraccio tenero, guancia a guancia, come nelle icone bizantine.
  E’ logico che Augias, che non ha la fede cristiana, abbia dei dubbi in proposito ma è altrettanto logico che noi cristiani ci affidiamo in ogni circostanza a questa madre affettuosa, assunta in Cielo, che ci segue, protegge e c’insegna ad amare.