lunedì 18 ottobre 2021

Buon umore

 
Durante l’intervento al Meeting di Rimini sulle canzoni napoletane (notare l’importanza dell’argomento) mi è capitato di dire che i napoletani hanno un imperativo categorico, come quello di Kant, che sostiene che il buon umore è una condizione necessaria per vivere bene.
 

A dire il vero è l’unico concetto che i miei amici ricordano del mio intervento, ma non mi dispiace. A Napoli stare di cattivo umore è considerato sconveniente mentre il buon umore e le battute di spirito sono apprezzati e provocano risposte in sintonia.

In realtà prendere le cose che capitano non troppo sul serio e vederne l’aspetto relativo, finanche umoristico, predispone alla visione cristiana della vita perché non pone i valori umani come assoluti ma se ne vedono i limiti e se ne può ridere. Non occorre essere napoletani per assumere questo atteggiamento. Basta essere cristiani.

Il cristiano sa che tutto dipende dalla grazia di Dio. Sicuramente gli tocca impegnarsi, prevedere, realizzare progetti, ma sa anche che ciò che conta è la volontà di Dio. La sua preghiera è confidenziale e fiduciosa: le risposte di Dio vanno ascoltate nel silenzio del cuore con umile attenzione. Alle volte Dio ci ispira chiaramente, altre volte ci fa comprendere la Sua volontà attraverso i fatti della vita. Il cristiano sa di essere una creatura che dipende e che non tocca a lui l’ultima parola.

Chi non vive di fede subisce l’angoscia di pensare che tutto dipende dai suoi sforzi. Questa è una malattia contemporanea. Viceversa, sapere che, oltre al necessario impegno personale, tutto dipende dal Signore, dà una serenità che si esprime nella preghiera fiduciosa.

In fin dei conti l’uomo di fede assomiglia al napoletano classico perché sa che il risultato non dipende da lui e sa sorridere della sua insufficienza. Insomma per chi crede in Dio l’umorismo è un compagno di viaggio.


mercoledì 6 ottobre 2021

 Gesù rimprovera Marta che si lamenta dell’assenza della sorella Maria rapita dalla presenza del Signore. “MartaMartatu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore”.

 Oggi è l’anniversario della canonizzazione di un santo che ha contribuito fortemente alla comprensione del rimprovero di Gesù. La santificazione del lavoro, che è lo stile del suo insegnamento, è possibile solo vivendo la dimensione contemplativa di Maria. Avvicinarsi all’Opus Dei significa ricevere un impulso a lavorare e studiare bene ma contemporaneamente a chiarirsi un punto: che la vita dello spirito ha bisogno di alimentazione come quella del corpo. 

  L’alimentazione spirituale che San Josemaría proponeva prevede da una parte la riscoperta dei Vangeli, che ogni giorno vanno letti per qualche minuto. Poi c’è la letteratura spirituale cristiana che è immensa e va dagli scritti dei santi a quelli dei teologi alla Ratzinger (la sua introduzione al cristianesimo è un capolavoro): almeno dieci minuti sono necessari, non di più perché bisogna lavorare. Ma come si fa a trascurare il vero tesoro del cristiano che è la possibilità di comunicarsi col corpo e sangue di Gesù? Questo è il centro della vita spirituale. Allora occorre trovare la maniera di andare a Messa ogni giorno… e così continuando si scopre che c’è una tavolata di cibo spirituale che regge il confronto con la buona cucina.

  Queste pratiche sono compatibili con una vita intensa di lavoro e studio, di impegni familiari e sociali, e hanno un effetto molto semplice: tornare bambini, come raccomandava Gesù, e ad avere con Lui un rapporto immediato e continuo. Esternamente si potrà avere anche un buon prestigio professionale ma internamente c’è questa continua comunicazione con Gesù con gran semplicità.

  Un messaggio del genere non è di immediata comprensione per la cultura moderna che privilegia il fare ancor più di Marta, mentre la felicità sta lì: quando la creatura è in sintonia con il Creatore e vive per fare la Sua volontà.