sabato 27 maggio 2023

Buon umore

 Ho già scritto su questo tema che mi sembra importante. Il buon umore si può definire in molti modi. C’è un aspetto fisiologico e uno culturale. Quando si sta bene è spontaneo stare di buon umore mentre in condizioni diverse richiede una decisione della volontà. A Napoli il buon umore si intravede dappertutto. Fa parte del patrimonio culturale della città tanto che lo stare di cattivo umore è considerato cattiva educazione. La cordialità sorridente è una specie di musica di sottofondo che a Napoli si avverte. Non così altrove. Stare di cattivo umore in molte parti viene considerato normale.

In effetti non sembra giusto. Il tratto gentile e sorridente allieta la vita agli altri e li induce ad assumere lo stesso atteggiamento. Prova ne sia che (è l’esempio più semplice) se entro in un negozio e aggiungo una nota scherzosa alla mia richiesta,  quasi sempre chi mi riceve si adegua e scherza pure lui. Alle volte si giunge alle risate anche se l’argomento dell’acquisto è serio.

Stare di buon umore vuol dire che non trovo nella mia vita qualcosa di così tragico che mi rattristi. Chi sta di buon umore non merita la frase: “beato te che ridi e non capisci niente”, come se fosse una vispa Teresa. Invece può darsi che chi sorride sa passare al di sopra degli inevitabili urti della convivenza e della vita, se non addirittura si rende conto che ciò che accade dipende dalla volontà di Dio e va accettato. In questo caso il buon umore è una conseguenza della fede. Ho conosciuto due santi di costante buon umore: Giovanni Paolo II e San Josemaría Escrivá.

Il buon umore non è un fatto accidentale: è un vero e proprio atto di virtù. Viva chi sa stare di buon umore!

lunedì 22 maggio 2023

Bernabei

 Mi hanno chiesto due paginette su Ettore Bernabei per l’eventualità di aprire un processo di beatificazione. Per me è santo. Allego le paginette


Ho conosciuto Ettore Bernabei nel 1978 quando stavamo raccogliendo le lettere postulatorie per la causa di beatificazione di San Josemaría Escrivá, cioè testimonianze di persone di rilievo che raccontassero i motivi della loro stima nei confronti del futuro santo (ora non si usa più raccogliere queste lettere). In quel caso volevamo chiedere una testimonianza ad Amintore Fanfani. Andai da Bernabei che allora già era amministratore delegato dell’Italstat, una finanziaria dell’Iri, che dopo pochi giorni ci accompagnò da Fanfani. Ricordo la sua discrezione, che avrei apprezzato poi nel corso degli anni, durante la conversazione con Amintore: si sedette in disparte nel fondo della stanza.

In quel periodo risiedevo a Milano e quando, nell’80, mi stabilii a Roma, Bernabei aveva già chiesto l’ammissione come membro soprannumerario dell’Opus Dei. Mi dettero l’incarico di spiegargli estesamente alcuni punti dello spirito dell’Opus Dei; impegno che accettai con emozione perché Ettore era molto noto per gli incarichi importanti che aveva ricoperto: prima direttore del Giornale del Mattino di Firenze e poi famoso direttore generale della Rai per quasi quindici anni, dal 1960 in poi.

Ben presto i nostri incontri diventarono amicizia e  tutte le domeniche ci vedevamo dalle 19 alle 20, orario d’inizio del Tg1 che Ettore controllava scrupolosamente. Questa bella abitudine durò dal 1980 fino all’anno della sua morte, il 2016. Non solo io  tenevo a questi incontri ma anche Ettore cercava di non rimandarli: se andava fuori Roma mi avvisava e spesso andavo a trovarlo in campagna. Non ho mai provato una sensazione di abitudine ma sempre di estremo interesse: Ettore spaziava dal passato fino ai particolari della società e politica italiana del momento. Era sempre informatissimo.

La sua professionalità ed esperienza s’imponeva e si fondeva con la vita di cristiano: la sua prospettiva soprannaturale era radicata nel suo lavoro. Lavoro e santità in lui erano perfettamente fusi.

Guardava alle vicende della vita in una prospettiva di fede. Fede che manifestava nella puntualità alle riunioni formative. Durante i ritiri, fra una meditazione e l’altra restava preferibilmente in cappella davanti al Santissimo, mentre gli altri prendevano un po’ d’aria e passeggiavano in silenzio.

Non era portato alle smancerie ma sapeva voler bene. Un piccolo episodio. Sapeva che mi piaceva la cioccolata e una sera mi fece trovare una scatola di cioccolatini come per caso. Me li aveva conservati perché conosceva i miei gusti, precisò. La direzione spirituale dell’Opus Dei lo portò ad addolcire il suo carattere. Le sue sfuriate erano famose e la sua voce potente attraversava le pareti ma non ce l’aveva mai con una persona in particolare, servivano per sbloccare una situazione. La sua nota severità in famiglia si mitigò anche a detta dei suoi figli. Rimase fedele a sua moglie che aveva attraversato lunghi periodi di depressione. Era capace anche di curare i particolari della tavola e della vita familiare. Colpiva la sua competenza nell’indicare una qualità di un cibo pur avendo in mente tante questioni importanti.

La sua speranza nella vita eterna era fuori discussione come testimonia in un discorso che fece ai suoi familiari quando compì 95 anni. In quella occasione fui l’unico invitato estraneo alla famiglia e, per fortuna, ripresi il suo discorso finale col cellulare. Il figlio Luca ha aggiunto qualche immagine al filmato che così è rimasto come bella e preziosa testimonianza. L’unica cosa che temeva era il giudizio particolare perché riteneva di aver commesso delle ingiustizie: lui che era sempre equilibrato e rispettoso…

 

Prudente, giusto, forte e temperante sono aggettivi che gli stavano a pennello. 

Non faceva mai nulla di avventato anche se era coraggioso nel mettere in cantiere nuove iniziative: un esempio è la creazione della casa di produzione Lux che ci ha regalato programmi belli ed edificanti.

Non dava giudizi affrettati sulle persone ma le stimolava a fare meglio. Un esempio è stata la condotta con i suoi figli. Non si scoraggiava di fronte agli sbagli di gioventù ma rilanciava sempre le opportunità di far meglio. Non è stato un caso che la Lux sia felicemente passata alla gestione di suoi figli che aveva valorizzato.

Gli eventi scoraggianti, che sono stati abbondanti nella sua vita specie negli ultimi tempi, non lo abbattevano ma piuttosto lo stimolavano a rilanciare puntualmente i suoi progetti. I corsi formativi che ha tenuto negli anni inoltrati della sua vita sono stato un esempio di fiducia nella formazione di giovani professionisti.

Pur essendo un buongustaio non esagerava mai nel mangiare o nel bere. La sua tavola era aperta agli amici e si notava il suo stile temperante.

Dovremmo essergli grati per tutto ciò che ha fatto. In particolare fu parte attiva per la mediazione durante la crisi del Golfo quando Kennedy impose alla Russia di ritirare i missili che stava per installare a Cuba. Ettore allora si trovava in America e tenne i contatti con Fanfani e Giovanni XXIII, che svolsero un’intelligente iniziativa di pacificazione.

Dovremmo essergli grati perché, dal 1960 al 1974, ha fatto della tv di stato un’amica di famiglia che percorreva con eleganza tutti i generi: dal popolare (le mitiche gemelle Kessler) agli sceneggiati impegnati.

Infine, al momento della pensione, Ettore ha trovato l’energia per fondare la casa di produzione Lux che ci ha dato la Bibbia, don Matteo e tanti altri bei programmi. Lo ringraziamo per questo.

Per me il suo stile cristiano è proprio dei nostri tempi. Non era un uomo di Chiesa e basta ma prendeva spunto dal suo lavoro impegnativo e dalle vicende varie della vita per vivere le virtù cristiane con uno stile laicale.




 

domenica 21 maggio 2023

Milone

 Ho conosciuto Massimo Milone quando era un giovane redattore della Rai di Napoli. Mi colpì il suo dinamismo, la velocità con cui impostava operazioni e le concludeva. Dopo qualche anno seppi che era diventato il capo della redazione napoletana e sempre dimostrava disponibilità per divulgare notizie positive relative alla mia attività. Desiderava venire a Roma e lo presentai alle persone che potevano agevolare il suo  trasferimento e così avvenne, ricevendo così l’incarico di dirigere Rai Vaticano. Mi chiese una collaborazione e capitò così di frequentarlo molto più spesso, di apprezzare il modo con cui escogitava nuovi programmi e valorizzava i redattori. Al momento della pensione venne a trovarmi, sempre portando un pacchetto di dolci, e mi prospettò una serie di iniziative per il futuro. All’improvviso, all’età di 67 anni il Signore l’ha chiamato a se’. I suoi figli sono ormai promettenti professionisti ma, assieme a loro, ci sentiamo orfani. Per ricordarlo propongo una foto di un felice momento. Mi piace ricordarlo così come se ancora fosse operativo. In Paradiso il Signore gli affiderà tante faccende che seguirà con l’abituale maestria anche dall’alto.

 

                      


venerdì 12 maggio 2023

La comunicazione

 Pur essendo ingegnere nella mia vita ho fatto tutt’altro. Fra le attività di cui mi sono occupato c’è stata per diversi anni la comunicazione di un un’istituzione in Italia. Mi sono reso conto che, malgrado i tanti corsi sulla comunicazione, sono ben pochi coloro che sanno cosa bisogna fare per una buona comunicazione, istituzionale o aziendale che sia. I dirigenti spesso non se ne rendono conto e chi viene assunto per svolgere attività di comunicazione pensa normalmente che la comunicazione sia produrre comunicati stampa, fare un buon sito internet e pubblicare foto e notizie su Facebook, Twitter e compagnia cantando. Queste cose sono necessarie ma tutt’altro che sufficienti.

Il buon comunicatore dovrebbe avere, per prima cosa, una stima sincera per l’ente in cui lavora perché  così ne saprà parlare in modo convincente. 

In secondo luogo (e questo è un punto importante) deve andare a conoscere i giornalisti che guidano i maggiori giornali e le testate televisive (Rai e principali tv private). Deve conquistarne la simpatia e portarli a visitare e conoscere le persone che lavorano nella sua azienda in modo che rimangano impressionati per la qualità del lavoro che si svolge a beneficio della società, per l’efficacia formativa nei confronti dei giovani che ci lavorano, per l’entusiasmo che i lavoratori nutrono nei confronti della propria azienda.

Una volta che si è stabilito questo rapporto con i giornalisti più importanti, sarà semplice far pubblicare articoli, trasmissioni e documentari che saranno tanto più preziosi quanto più è autorevole la fonte. Per intendersi: un intervento presso una trasmissione di Bruno Vespa  vale di più di mille inserti su Facebook. Un articolo sul Corriere della Sera è fondamentale rispetto a tanti comunicati stampa.

Mi premeva chiarire questo punto che serve sia a chi dirige l’azienda (che sa cosa vuole comunicare) che per l’addetto alla comunicazione, altrimenti si rischia l’isolamento, e la comunicazione che si fa è un’illusione.

 

www.pippocorigliano.it




giovedì 11 maggio 2023

Le preghiere

 La mattina presto dedico mezz’ora alla voga col mio vogatore. Negli intervalli recito una decina del rosario: questo mi consente, a mente fresca e senza fretta, di riflettere maggiormente sulle parole che dico.

Ad esempio, le prime tre richieste del Padre Nostro esprimono tre concetti simili fra di loro: “Sia santificato il tuo nome”, “venga il Tuo regno”, “sia fatta la tua volontà”. 

Sto attento a non distrarmi e, se la mente se ne va, torno a ripetere le tre frasi. Se Gesù ce le ha insegnate così, vuol dire che dobbiamo tenere ben chiaro che la volontà di Dio per noi è essenziale sotto tutti gli aspetti. 

Le altre richieste sono diverse fra loro. Il pane quotidiano viene spontaneo, mentre mi fa sempre riflettere il “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Mi sembra una richiesta così impegnativa da sembrare quasi pericolosa. Chiedo a Dio di perdonarmi i peccati come io perdono i miei “debitori”. Accidenti: chiedo a Dio di comportarsi come me. Devo stare molto attento. Contemporaneamente penso a quante persone ripetono questa frase a loro rischio e pericolo, dal momento che non mi sembrano tutti così teneri di cuore.

L’Ave Maria mi è diventata molto più colorita. Quando dico:  “tu sei benedetta fra le donne e benedetto sia il frutto del tuo seno Gesù”, mi metto sotto lo sguardo della Madonna e mi pare che l’anima si riscaldi e si abbronzi alla luce dei Suoi occhi. La richiesta successiva (prega per noi peccatori…) è naturale anche se l’appellativo  “Madre di Dio” mi sembra particolarmente audace rispetto alle critiche ricevute nel lontano passato.

Racconto queste cose per stimolare una recita ancora più proficua delle nostre preghiere ancor meglio di me.




martedì 18 aprile 2023

Acqua in vino

 L’episodio delle nozze di Cana, del vangelo di Giovanni, ha in sé tanti aspetti interessanti. Per prima cosa si legge:  “ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.” La madre di Gesù viene presentata come un personaggio mentre la presenza di Gesù è descritta successivamente… Mi fa piacere questo riconoscimento ante litteram di Maria che fa capire la considerazione di cui godeva la Madonna ancor prima degli avvenimenti successivi.

“Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino».  E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora».” Quando abbiamo letto questo apparente contrasto siamo restati meravigliati ma poi ci siamo resi conto che ci trasmette un confortante significato. Gesù in realtà acconsente alla richiesta di Maria, che con sicurezza dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”. C’è intesa fra i due: un’intesa che ci porta ad aver fiducia nell’intercessione di nostra Madre. Maria è capace di cambiare l’ordine prestabilito a vantaggio nostro.

Nella realizzazione del miracolo c’è un clima di perfezione. I servi riempiono le giare “fino all’orlo”, viene precisato. Dopo che il maestro di tavola (il matrimonio era ben organizzato) ha assaggiato l’acqua tramutata in vino, dice allo sposo: “«Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po' brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono». 

Non solo Gesù ha acconsentito alla richiesta di Maria ma lo ha fatto nel modo migliore possibile. La conclusione è che facciamo bene nel confidare in Maria e chiederle anche l’impossibile.



domenica 9 aprile 2023

Tornare

 Le parabole di Gesù sono tutte belle: le abbiamo ascoltate tante volte ma c’è il rischio di darle per scontate. La parabola del figliol prodigo, ad esempio, è ricca di particolari significativi. La prima parte della parabola è descrittiva  dello stato di bisogno del figlio dopo la dispersione della sua eredità. Successivamente meritano attenzione i particolari che emergono dal comportamento del padre. Il figlio che torna non bussa alla porta ma il padre lo vede prima, perché scruta l’orizzonte con speranza… sta attendendo e spera. Il padre non lo aspetta sulla soglia ma corre: è un anziano che corre. E lo baciò. In latino: cecidit supra collum ejus et osculatus est illumLetteralmente: “gli piombò sul collo e lo baciò”.Il padre si rivolge ai servitori e ordina la veste più bella. Allora i vestiti erano pregiati e la “veste più bella” fa capire che esisteva una gerarchia fra i vestiti: andava preso il capo migliore di tutti. A rivestirlo dovevano essere i servi, dice il padre, perché il figlio non aveva perso la sua dignità.“Mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi”. Sia l’anello che i calzari erano accessori con un preciso significato d’importanza.“Portate fuori il vitello ingrassato”… Il padre non dice “un vitello” come ce n’erano nella stalla, ma “il” vitello. Era il migliore, la prelibatezza.Perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”. Qui c’è l’insegnamento di Gesù: La lontananza da Dio è morte e, soprattutto, il Padre ci aspetta ansiosamente. Dobbiamo allietare Dio. Dobbiamo farci ritrovare…

“E si misero a fare una gran festa”. Per chi ha una concezione malinconica della fede, resti ben chiaro: il Padre organizza una festa. Con Dio si sta bene. Si ride e si è felici.

Il figlio menagramo che torna dalla campagna rappresenta anch’egli noi stessi quando subiamo la volontà di Dio di traverso. No! Noi dobbiamo abbracciare felicemente la nostra vocazione: lo stato in cui ci troviamo. E’ lì che dobbiamo gioire con Gesù e fare festa nell’affetto del Padre.

 



 

 

martedì 4 aprile 2023

Giovedì Santo

 Noi cattolici abbiamo un dono grande. La presenza reale di Gesù. Durante la santa messa ascoltiamo quelle parole: 

“Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo
offerto in sacrificio per voi. 

Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti
in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me.”

Nel momento in cui Gesù, sotto le sembianze del sacerdote, pronuncia queste parole è come se il soffitto si sfondasse e ci fosse lo stesso Gesù che parla al di fuori del tempo e dello spazio, …

Il giovedì santo è il giorno particolare in cui contempliamo questa meraviglia.

Abbiamo questo privilegio che supera la nostra immaginazione. Nessuno ha un dono simile: essere al cospetto di Dio in un contesto di eternità, testimoni di un Dio che ci ama, si incarna, ci insegna e muore per noi. Ci identifichiamo con Lui: Lo mangiamo.

Molti di noi hanno ereditato una modesta concezione del cristianesimo propria di chi nella vita ha una serie di faccende da sbrigare. In mezzo a tutto questo c’è un intervallo, breve, in cui si pensa a Dio. Per il resto si cerca di essere “buoni”. Un inno alla mediocrità.

Se si legge il vangelo si ha tutt’altra prospettiva. Dio ci aspetta come il padre del figliol prodigo, mentre noi tiriamo avanti con la sensibilità dell’altro figlio, quello che lavora in campagna ed è “buono” ma non capisce l’essenziale. Occorre accettare l’idea che le cose stanno diversamente di come siamo abituati a pensare.

Gesù ci ama con vibrazione e noi dovremmo corrispondere, pieni di amore di Dio. Tutto il resto viene dopo e la nostra vita può diventare una vita santa. Occorre convertirsi.


 



mercoledì 22 marzo 2023

I Tg

 La notizia è che il Tg1, Tg2,Tg3 perdono ascolti. Mi sembra perfettamente logico. Se prendessi un ragazzo di 13 anni e una signora di 65 e li facessi assistere a uno dei telegiornali, potrei chiedere dopo cosa hanno capito. Credo che almeno la metà delle notizie non siano state per nulla chiare.

Per fortuna esiste un esempio positivo: Giovanna Botteri che riesce a stabilire immediatamente un’intesa col telespettatore e gli spiega cosa è avvenuto. Attualmente è la corrispondente da Parigi dove stanno accadendo alcuni disordini che lei spiega in modo convincente.

Se fossi un dirigente Rai pregherei i giornalisti di ascoltare per un’ora i servizi di Giovanna. Credo che la lezione sarebbe efficace e che, in seguito, gli ascolti dei telegiornali tornerebbero a crescere. La causa del calo è una. Lo spettatore non capisce. Molti corrispondenti ammassano notizie come una telescrivente umana. La Botteri ti spiega, partecipa, stabilisce una corrente di simpatia.

Ammetto: vorrei fare il dirigente Rai per un mese. Sono convinto che riuscirei a far aumentare gli ascolti.

Le notizie vanno date senza citare sigle di enti o uffici, oppure dando per scontato che lo spettatore conosca gli antecedenti. Il tono di voce deve seguire il significato di ciò che si sta dicendo e non ammassare le notizie con lo stesso tono:  gli argomenti trattati vanno illustrati come se fosse la prima volta. Diventano ridicole certe corrispondenze in cui vengono stipati argomenti diversi per poi concludere: è tutto. Direi che è un tutto fatto male. Come mai i dirigenti Rai non se ne accorgono?







Umorismo

 Il senso dell’umorismo è un dono della natura umana. Chi ce l’ha, ce l’ha. Chi non ce l’ha, non ce l’ha: guai a sforzarsi di fare dell’umorismo se non si ha questa dote. E’ tipicamente umana ripeto: gli animali, anche i più vicini all’uomo, non ce l’hanno, il che la dice lunga sulla profondità del dono.

Sono stati scritti libri sull’umorismo e non è il caso ora di approfondire; sta di fatto che si riferisce sempre a una mancanza o un difetto. Ricordo che il Presidente Cossiga, in una delle sue visite alla tomba di Sant’Escrivà, disse fra l’altro, nella conversazione successiva, che Gesù nel Vangelo non ride mai.

La cosa non mi piacque e cominciai a cercare nel Vangelo situazioni in cui si poteva supporre una risata di Gesù. Trovai diverse scene buffe ma non riportabili a un umorismo di Gesù. Una per me è quella degli amici che sfondano il tetto per calare il paralitico. Mi è sempre venuto da ridere pensando al commento del padrone della casa nel caso che il miracolo non fosse avvenuto, o dello stesso paralitico che aveva dovuto subire mille vertigini. Mentre ho sempre ammirato gli amici che erano veri amici: un semplice conoscente avrebbe fatto gli auguri ma non si sarebbe impegnato. 

Ci sono altre scene buffe ma nessuna con umorismo da parte di Gesù e mi sono spiegato il perché. Un discorso umoristico fa sempre perno su una situazione paradossale dovuta a una deficienza. Il messaggio di Gesù era ed è assoluto, senza riserve, chiaro e perenne. C’è poco da scherzare. Siamo noi poveri esseri umani che abbiamo questa consolazione: sulle nostre insufficienze almeno possiamo ridere.



mercoledì 1 febbraio 2023

Gesù

 Oggi, mentre facevo orazione, ho considerato come fra me e Dio ci sia un gran mare di mediocrità. Come ci può essere mediocrità con Dio? Basta che mi adatti al pensiero di essere semplicemente un buon uomo ed ecco che il rapporto con Dio si può definire mediocre. Non ha senso la mediocrità con Dio, con Gesù. Con Dio devo stare sempre al top dei miei sentimenti e disponibilità. Nel Vangelo gli incontri con Gesù sono sempre un’elevazione ad altezze mai viste, e io mi devo accontentare di essere “buono”?

Gli interlocutori sono due: io e Gesù. Se io parto con lo sguardo spento grande sarà il contrasto con la risposta di Gesù. Ho presente cosa vuol dire amare con tutto il cuore? Non posso pretendere di essere come Dante nel Paradiso ma una scossa me la devo dare. Soprattutto le aspettative di cosa può fare Gesù di me. Con Gesù la mia orazione diventa onnipotente. Non c’è nessun problema umano o divino che non possa essere affrontato. Se io sono quello che sono, Gesù è quello che è. Perciò non esistono confini con la potenza dell’orazione che Gesù provoca in me. Tutto è affrontabile, tutto è risolubile, basta abbandonarsi alla fede. Sì alla fede, perché se non vivo la fede con Gesù che me ne faccio? Devo abbandonare la falsa modestia che deriva dalla mia oggettiva condizione e capire che “posso tutto in Colui che mi dà forza” (Filippesi 4,13).




venerdì 20 gennaio 2023

Comunicare

 Comunicare vuol dire parlare così chiaramente che l’interlocutore capisca quanto gli voglio dire. Invece di parlare si possono usare altri mezzi ma il concetto è quello: la chiarezza dei contenuti trasmessi.

Vediamo i telegiornali e spesso rimaniamo con punti interrogativi sospesi. Faccio un esempio felice: Giovanna Botteri. Non è né giovane né particolarmente bella ma quando parla senti un’amica che ti sta spiegando bene qualcosa. Il tono colloquiale, l’atteggiamento sereno, la chiarezza dell’esposizione rendono gradevoli e utili i suoi servizi.

Per il resto ci tocca assistere a servizi affrettati e poco comprensibili. Sembra impossibile che direttori e giornalisti, che conoscono bene le regole fondamentali della comunicazione, le ignorino in pratica. C’è poco tempo? Allora faccio un discorso affannato pieno di termini incomprensibili. Sembra che ignorino la qualità del pubblico. Un’inchiesta svelerebbe che solo una piccola percentuale di ascoltatori ha afferrato qualcosa del discorso trasmesso.

Come fare per migliorare la situazione e raggiungere una comunicazione efficace?





martedì 3 gennaio 2023

Ratzinger


 Leggendo i commenti alla morte di Ratzinger sento il bisogno di precisare un punto: se ci fermiamo agli episodi del suo pontificato, primo fra tutti la clamorosa rinuncia, non mettiamo in luce il vero personaggio.

Non sono in condizione di commentare adeguatamente la vita e il pensiero di Ratzinger, che è il pensatore e teologo più imponente del secolo. La Provvidenza gli ha chiesto di essere vescovo, cardinale e papa e lui ha svolto il suo ruolo. Ma il patrimonio che ci ha lasciato sono i suoi scritti e i discorsi. Ratzinger va letto, punto e basta.

La sua “Introduzione al Cristianesimo” è un testo base che chiunque abbia fatto il liceo è in condizione di comprendere. Nell’introduzione Ratzinger racconta: “il libro è scaturito dalle lezioni da me tenute a Tubinga nel semestre estivo del 1967, ad uditori di tutte le facoltà… esso si propone di far comprendere in maniera nuova la fede, presentandola come agevolazione all’autentico vivere umano nel nostro mondo odierno, senza degradarne la consistenza…”

Allora Ratzinger aveva quarant’anni e aveva partecipato al Concilio in qualità di perito, collaborando con i maggiori teologi e porporati dell’epoca.

Sono in corso di pubblicazione, da parte della Libreria Vaticana, 16 volumi che raccolgono il suo pensiero filosofico e teologico, mentre case editrici hanno pubblicato libri tratti da suoi cicli di lezioni o prediche. 

Sono notevoli le vicende del suo pontificato ma, in una prospettiva storica, la sua figura resta centrale per l’impegno di parlare adeguatamente di Dio all’uomo contemporaneo.

 

 

lunedì 26 dicembre 2022

Napoli

 La mattina di Natale,  mentre sbrigavo faccende che non richiedevano concentrazione mentale, ho scelto su You Tube “Canzoni antiche napoletane cantate nel mondo”. Mi ha sorpreso “Funiculì funicolà” cantata in Corea con partecipazione di un pubblico numeroso. Poi in Polonia “O surdato innamurato” e in Olanda “Tu vuò fa l’americano” e così via cantando. Mi sono commosso pensando al rilievo che la cultura napoletana ha nel mondo e mi sono chiesto da dove viene questo talento di simpatia e fantasia che produce tante eccellenze napoletane.

Napoli città sovrappopolata, con problemi sociali, ha anche una fama sinistra che sta cedendo il passo a una stima generale crescente. Che c’è di speciale a Napoli? Perché simpatia e allegria ti contagiano appena metti piede in città?

Una delle tante risposte possibili è secondo me l’eredità dell’operato di Sant’Alfonso dei Liguori, detto il più napoletano dei santi e il più santo dei napoletani, nato nel 1696 e morto nel 1787. Quando decise di farsi sacerdote dopo aver esercitato l’avvocatura per 7 anni suo padre, terribile comandante di navi da guerra, gli fece un’opposizione tale che non poté lasciare la città una volta ordinato sacerdote. La sua vocazione era di evangelizzare i più poveri del Regno di Napoli perciò all’inizio si rivolse ai popolani della città.

Nell’estate del 1728 saponari, muratori, barbieri, falegnami, scaricatori di porto e disoccupati confluiscono la sera nella chiesa di Santa Teresa degli Scalzi, vicina a casa sua. Alfonso li confessa, li istruisce e li manda a formare i loro compagni.

Pietro Barbarese, capo scugnizzo del Mercato, si mette a catechizzare e a preparare ai sacramenti i monelli dei bassifondi come nessun altro saprebbe fare. Luca Nardone, soldato dissoluto espulso dall’esercito, si converte e diventa animatore di un altro gruppo. Il venditore di uova Antonio Pennino acquista fama di santità e gli si attribuiscono miracoli.

Questi laici formati da Alfonso diventano, ognuno nel proprio quartiere, organizzatori di gruppi di meditazione, di preghiera, di formazione. Questi circoli prendono il nome di “cappelle serotine”. Alfonso fa il giro di queste assemblee, stimolando i primi convertiti e guadagnando altri all’amore di Cristo. Assieme ai suoi amici sacerdoti il sabato sera riesce a mala pena a far fronte a tante confessioni. Il cardinal Pignatelli è sbalordito: “Dei laici che fanno tanto bene!”. 

A più di un secolo dalla morte di Alfonso, nel 1894 le cappelle serotine saranno 300 nella sola Napoli e conteranno trentamila frequentatori. E’ una mia opinione personale che l’animo gentile dei napoletani sia stato influenzato da questo stare insieme con Gesù.




 

 

martedì 13 dicembre 2022

Aspettando Natale

 Al Tg1 hanno mostrato Roma e Milano superbamente illuminate per Natale, aggiungendo che l’origine di tanta illuminazione è la festa del solstizio d’inverno. Effettivamente nell’antica Roma la festa del solstizio veniva festeggiata sontuosamente a dicembre, ma fin dai tempi di Costantino la Chiesa, con l’avallo dell’imperatore, aveva fissato per il 25 dicembre la data del Natale. Come ha osservato Joseph Ratzinger le luci ricordano l’annuncio ai pastori. L’angelo “si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce (Luca 2)”. E’ quella luce che viene ricordata, con buona pace dei nostalgici del solstizio.

Mi hanno riferito che in una libreria di Milano hanno esposto in vetrina una quarantina di libri natalizi per bambini. Uno solo parlava di Gesù Bambino, mentre i protagonisti delle altre storie erano maghi, elfi e personaggi vari. Non è il caso di perder tempo per gridare allo scandalo; piuttosto, per chi ci crede, è il momento di raccontare al meglio la nascita di Gesù. E’ ciò che ha fatto Annalena Valenti (vedova di Luigi Amicone) pubblicando, in collaborazione con Raffaella Carnovale e Valeria De Domenico, un libro sorprendentemente bello dal titolo “Aspettando Natale”, edizioni Comunica. 

Il libro colpisce fin dalla copertina, grazie a un suggestivo ritratto di un bambino dallo sguardo magnetico. L’autore svedese Carl Larsson è vissuto a cavallo tra 800 e 900 e dipingeva frequentemente momenti di vita familiare. Colpisce l’intensità dello sguardo dei personaggi rappresentati nelle pagine del libro. Primo fra tutti il bambino in copertina.

Il libro è una raccolta di suggestivi racconti e poesie di autori di vari paesi, dall'Arabia al Messico, dalla Russia agli Stati Uniti, dall’Inghilterra alla  Svizzera. Sono ben scelti, spesso commoventi, distribuiti per ogni giorno dell’Avvento. Il linguaggio è adatto per un uditorio di bambini anche se pure i grandi restano coinvolti. Provare per credere. L’importante è che i cattolici come Annalena si facciano sentire. La fede è sempre stata trasmessa dai pochi che fanno sul serio. Mi viene in mente la frase di quel romano: “Certo che so’ cattolico, non sono praticante ma ho una zia suora e mia madre fa la spesa in Vaticano”. Tanto per dire che chi ci crede davvero  faccia come Annalena.




 

domenica 27 novembre 2022

Resurrezione

 E’ commovente la difesa di San Paolo della fede nella resurrezione di Cristo e nostra: nella prima lettera ai Corinzi conferma, con passione e chiarezza,  che bisogna crederci.

Gli sono grato. Anche nel Vangelo Gesù chiarisce che i morti risorgono, ma San Paolo si confronta con l’incredulità nostra.

Devo dire che, anche per me, non è immediato crederci. Siamo cresciuti con una specie di allergia al soprannaturale. Fin da bambini ci hanno insegnato a non andar dietro alle fantasticherie e, da adulti, è scontato che si crede solo a ciò che si vede si tocca e si può misurare.

E invece non è così. La Rivelazione è una “rivelazione” di ciò che non comprendiamo. Per fortuna il Signore ci aiuta con tante prove della verità della fede: i cosiddetti motivi di credibilità.

Uno di questi mi è balzato in mente stamattina mentre assistevo alla santa messa.

 In quale religione o cultura viene mantenuto un ricordo altrettanto vivo della consacrazione del pane e del vino che fece Gesù? Un episodio di tanti e tanti anni fa.

 Durante la cerimonia della Messa di nuovo vediamo Cristo che, in quella stanza chiamata cenacolo, pronuncia le parole terribili e commoventi. Quando ci penso mi vengono le lacrime agli occhi: non perché sono vecchio e i vecchi si commuovono facilmente ma perché non esiste una situazione così fondamentale come la santa Consacrazione.

L’altro giorno mi hanno chiesto di fare una chiacchierata ad alcune persone sul tema della santificazione della vita ordinaria. Quando ho cominciato a parlare della consacrazione mi sono commosso e ho pianto per qualche secondo. Come al solito in queste situazioni, mentre io rimprovero me stesso, le persone attorno sono contente. Forse perché si vede che faccio sul serio.




Lo Spirito Santo

 Joseph Ratzinger è sempre sorprendente perché illumina con una luce nuova le verità conosciute. In un libro che sto leggendo fa un parallelo fra la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e l’episodio della torre di Babele descritto in Genesi 11.

 Nel caso della torre di Babele gli uomini parlavano dapprima la stessa lingua poi, a causa della loro superbia, Dio li confonde e da allora parlano lingue diverse: non si capiscono fra loro e si dividono. Viene punita la pretesa di costruire l’unità e l’eccellenza basandosi solo sulle proprie forze.

 Nel caso degli Apostoli, lo Spirito Santo nella Pentecoste trasmette la capacità di parlare lingue diverse, ma al fine di farsi capire da tutti. Il frutto dello Spirito Santo è l’unità malgrado le differenze. La Chiesa è una e molteplice, destinata a vivere presso tutte le nazioni.

  Questa verità ha delle conseguenze pratiche per chi vive vita di fede. Chi ha dimestichezza con lo Spirito Santo è portatore di unità: questo è vero per le famiglie spirituali che convivono dentro la Chiesa, ma è vero anche per le singole persone.

 L’istinto umano di creare fratture viene superato dall’uomo di fede, che diventa capace di comprendere le diversità. Se sono irritato con qualcuno perché ha mancato contro di me, non posso mantenere il rancore se ho in me lo Spirito Santo. Imparo a volare sopra le cime degli alberi (le contrarietà della vita): divento comprensivo e anche di buon umore, il che è un bene sia per me che per gli altri.

 Grazie Signore che ci dai lo Spirito Santo.

 



domenica 13 novembre 2022

Dio fa il tifo per noi

 Ogni tanto nella vita spirituale si fanno delle scoperte. 

L’ultima che mi è capitata è che certamente finora avevo vissuto cercando di corrispondere all’amore di Dio; però che lo facessi bene o no era un problema mio: sapevo che Dio era contento se mi impegnavo. Leggendo un testo di Joseph Ratzinger mi sono imbattuto in questa considerazione: ”L’amore di Dio è anche eros.  Nell’Antico Testamento il Creatore dell’universo mostra verso il popolo che si è scelto una predilezione che trascende ogni umana motivazione”. Citando i profeti Osea ed Ezechiele afferma che “l’Onnipotente attende il “si” delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa”. Passando poi all’insegnamento di Gesù, Ratzinger conclude: “La risposta che il Signore desidera ardentemente da noi è innanzitutto che noi accogliamo il suo amore e ci lasciamo attrarre da Lui”.  Per me il campanellino della novità è suonato in quell’  “ardentemente”. Prima mi immaginavo, senza ragionarci su, una semplice benevola attesa da parte di Dio.

Le due bellissime parabole di Gesù (la pecora smarrita, con la gioia del pastore nel ritrovarla, e la dracma della vecchietta che felice chiama le amiche per festeggiare) stanno a significare che “c’è più gioia in cielo per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”. Finora  consideravo me stesso fra i novantanove giusti… ma una voce dentro di me ha detto autorevolmente: ma che? Chi ti credi di esser? Tu sei un peccatore, e di quelli forti! Ecco allora che tutto torna. Dio fa il tifo per me e non smette fino a che non divento uno che vive al Suo cospetto, con il cuore infiammato dal sangue di Gesù. Conversioni? Sì che ne devo avere! Continuamente scopro aspetti che dovrei affrontare e migliorare e non sono cose di poco conto.

Dio non assiste benevolmente da lontano ma fa un tifo appassionato per me. E’ stata una scoperta e volevo comunicarla…


 



martedì 1 novembre 2022

Capa fresca

 “tu tieni a capa fresca”, dove fresca va pronunciato come “freshka”. E’ una frase che a Napoli si rivolge a chi vive in modo spensierato.

Ho notato che persone impegnate con preoccupazioni varie, “tengono (invece) a capa fresca” nei confronti delle questioni fondamentali della vita: gli amori, i familiari, il futuro e, soprattutto, il rapporto con Dio. Parlo di cattolici perché per gli atei è un altro discorso.

Questa carenza non è venir meno a un dovere ma è un’assenza di energia vitale. Il rapporto con Dio, che per ognuno è diverso, è fondamentale per vivere bene.

La nostra anima ha bisogno di un’alimentazione di base, altrimenti scivola verso la “capa fresca”. Se ne parla poco e perciò accenno a un elenco di pratiche fondamentali per l’anima:

qualche minuto di Vangelo ogni giorno, la lettura di libri “spirituali”, tipo le Confessioni di Sant’Agostino, il tempo da dedicare all’orazione mentale, la Santa Messa… l’elenco continua e potrebbe spaventare visto nell’insieme, ma si tratta di scegliere, come in un ristorante spirituale.

Posto che il rapporto con Dio per ognuno è diverso: grazie a Dio, si potrebbe aggiungere; il mio piccolo impegno per tenere la finestra aperta all’ingresso dello Spirito Santo però ci deve essere. Ecco che alcune pratiche, come già detto, devono essere come la base nutritiva per la sussistenza spirituale. Altrimenti, benvenuta capa fresca!




domenica 23 ottobre 2022

Ave Maria

 Ebbene sì! Ho compiuto 80 anni…: sono interessanti i fenomeni che accompagnano questo vertice  del calendario. Mi ha sorpreso la riscoperta dell’Ave Maria. Sembra uno scherzo: a 80 anni si vive d’abitudine e si ripetono meccanicamente le formule abituali. Invece no: con la testa lucida del mattino l’Ave Maria non decade, ma anzi sta mostrando ogni giorno ispirazioni nuove. Ne elenco alcune….

“Piena di grazia” è un complimento per una donna davvero suggestivo. L’apparizione di Maria suscita quest’esclamazione di stupore a cui segue, dopo una breve pausa, la spiegazione del prodigio: “il Signore è con te”. Sei tanto bella Maria perché è il Signore che sta con te… Quella che era l’inizio di una preghiera abitudinaria è diventato un’esclamazione di ammirazione di fronte a una visione, un lampo, una luce.. 

Continua il discorso con la benedizione rivolta a Lei e al Frutto del suo seno.

Poi Santa Maria… che lascia spazio a un complimento unico: Madre di Dio. Un complimento così esagerato che ha trovato chi l’ha contestato, ma un Concilio lo ha ben confermato.

Perciò, ora che sono alla seconda parte dell’Ave Maria, faccio una pausa: Santa Maria, Madre di Dio… e mi fisso come un disco incantato: madre di Dio, madre di Dio, madre di Dio… Mi do una scossa e passo alla richiesta: “prega per noi peccatori…”

Anche con il Padre Nostro mi è accaduto qualcosa di simile ma per ora mi fermo con Maria.

Altri penseranno cose più belle. Per me c’è la sorpresa del clima bello e nuovo a 80 anni…




lunedì 22 agosto 2022

Escrivá

 Quando si sta vicino a grandi uomini c’è un pericolo: farci l’abitudine. Ora che ho raggiunto gli ottanta anni mi pare di scorgere soltanto la parte dei piedi, per così dire, di San Josemaría Escrivá. Continuamente riscopro aspetti nuovi del suo stile mentre mi piace riflettere sulla novità del suo messaggio.

Escrivá, beninteso, non si sentiva un innovatore ma un chiamato a rifondare uno spirito cristiano adatto ai laici. Perciò il suo modello era quello dei primi cristiani, quando non erano ancora apparsi gli ordini religiosi aventi al centro della loro chiamata il distacco dal mondo e una dedicazione totale della vita a Dio. Anche per i laici cristiani la vita è da dedicare interamente a Dio ma attraverso la loro vocazione specifica di persone che vivono nel mondo e sperimentano le normali realtà di tutti i giorni. E’ evidente il diverso modo di vivere di un cenobita e di un padre di famiglia. Per esempio la povertà per un padre di famiglia si esercita nel lavorare seriamente per guadagnare il sostentamento dei suoi, non spendere in inutili lussi, comportarsi come la normalità gli richiede, con sobrietà.

E’ luminoso il modo in cui il Santo educava a coltivare il rapporto con Dio e con gli altri. Non appare mai il disprezzo per le realtà mondane, ma lo stile del rapporto con Dio è quello del figlio, possibilmente del figlio piccolo (come il Vangelo suggerisce). Il rapporto con gli altri era improntato all’armonia e all’affetto. Le famiglie venivano indicate come “focolari luminosi e allegri”, lo spirito di mortificazione era, per prima cosa, sacrificarsi perché gli altri stessero bene: farsi tappeto perché camminassero sul morbido. Addirittura giunse a dire che il letto matrimoniale degli sposi è un altare: affermazione difficile da digerire nel secolo scorso. Non criticò mai lo stile di vita dei religiosi, che dimostrò sempre di stimare, ma sottolineò l’aspetto positivo delle realtà mondane per i laici. La passione professionale, il valore dell’amicizia, il fascino dell’amore fra i coniugi, saper apprezzare le cose belle del mondo, erano tutte strade per amare Dio, senza facili concessioni agli eccessi. Il risultato è uno spirito sereno, capace di lottare contro le tendenze disordinate ma nello stesso tempo gioioso e attraente.

Ho solo accennato a temi fondamentali. Vivere il cristianesimo con questo stile non è da poco.



lunedì 1 agosto 2022

 Ogni tanto ci troviamo in una situazione in cui l’unica prospettiva di soluzione positiva è pregare: chiedere l’aiuto di Dio. Spesso noi stessi o altri abbiamo detto: “Proverò anche se la mia è una povera preghiera…”, oppure una frase del genere.

Occorre distinguere: da una parte che io sia un poveraccio è fuori discussione. Ma un poveraccio, che sa di esserlo, viene ascoltato dal Signore, perciò la preghiera non è povera ma potentissima.

Mi sta a cuore distinguere quando sono devoto e quando sono contemplativo. La devozione è un bell’atteggiamento ma essere contemplativo significa partecipare della realtà di Dio. La conseguenza pratica è il continuo parlare con Gesù che è il fine della mia vita: ne è il custode e il pilota. Un conto è fare una cosa perché la devo fare, un altro è farla avendo come motivazione e guida Gesù.

Ultimamente questo atteggiamento mi riesce più facile. Al mattino mi sveglio e come metto piede a terra dico: serviam!. Per i ricordi di latino ormai lontani “serviam” è sia futuro che congiuntivo. Non importa: vuol dire “ti servirò Signore” e la mia giornata prende senso da questo. Poi nella Santa Messa c’è questo incontro intimo con Gesù nella Comunione. Il dialogo è già iniziato da un pezzo ma, dopo la Comunione è un momento intenso. Lungo la giornata il dialogo continua e ogni tanto me ne dimentico. Poi c’è il ricordo. Ah già Gesù. E chiedo scusa per la distrazione. Così la giornata è viva ed è più facile essere buono oppure meno scemo.

Ho semplificato molto ma penso che se i cristiani invece di fare dibattiti vivessero in questo dialogo, tutto andrebbe meglio. Sarebbero davvero in grado di mostrare come la felicità del Cielo comincia da questa terra.

sabato 30 luglio 2022

 Francesco Cossiga amava occuparsi di vari argomenti in cui dimostrava una competenza solida. Un giorno disse con aria furba e determinata: “Gesù nei Vangeli non ride mai”. Incassai l’affermazione con un certo scetticismo ma non feci obiezione.

Pensandoci bene l’umorismo nasce sempre da un limite umano: alle volte un limite simpatico altre volte consistente. Viceversa i temi che Gesù tratta nei Vangeli sono soprannaturali, non hanno limiti né lacune. Non riesco a immaginare Gesù che scherza sui temi fondamentali e sono contento che non lo faccia.

D’altra parte Gesù parla spesso di gioia, felicità, allegria: temi che abbondano nei Vangeli.

Nelle litanie della Madonna c’è “ causa nostrae laetitiae”.  Riflettevo che non conosco alcun santuario della Vergine che porti questa denominazione. Forse siamo più portati a condolerci della passione di Cristo che a gioire della Sua risurrezione. Mi sembra uno spunto interessante da approfondire, andando a cercare quanto Gesù dice sulla gioia.

Spesso Gesù viene accusato di essere un mangione e un beone perché mangia con i pubblicani e i peccatori. Non riesco a immaginare questi pranzi conciliatori in atteggiamento esclusivamente serio. Un banchetto è un banchetto specie allora che era considerato una specie di festa.

I discorsi di Gesù insistono sulla felicità e la gioia. Le parabole di Gesù si concludono spesso con la gioia: la pecora perduta e ritrovata, la dracma che la donna di casa ritrova e fa rallegrare i vicini, il figlio che torna; il padre ordina il vestito più bello e anello al dito. Sono tutte scene di esultanza come precisa Gesù in conclusione.

Nel discorso dell’ultima cena riportato da Giovanni Gesù conclude: “queste cose vi ho detto perché la mia gioia sia con voi e la vostra gioia sia piena”.

Dopo la resurrezione i discepoli, narra Luca, ritornarono a Gerusalemme “con grande gioia”.

In sintesi non esiste un messaggio carico di gioia come quello di Gesù.

 

 Credere nella vita eterna

 

Ci sono verità di fede che sono vicine alla nostra esperienza. Credere che Gesù sia Figlio di Dio richiede fede ma c’è il racconto dei Vangeli e di tante testimonianze che lo dimostrano. 

Per quanto riguarda la vita eterna non è così. Ci sono testimonianze che provengono dall’aldilà, ma per il resto mi devo fidare della parola del Signore.

Provvidenzialmente su questo argomento Gesù è esplicito e vi torna spesso con naturalezza. Per me è molto importante afferrarmi alle parole di Gesù perché la  mia mentalità è quella del mio tempo, naturalmente portata allo scetticismo.

Il momento più pittoresco è quando i sadducei tentano di prenderlo in contraddizione con la storia della vedova che aveva sposato successivamente sette fratelli (Luca 20). Gesù risponde in modo chiaro: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dei morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti ma dei viventi; perché tutti vivono per lui.”

Più sinteticamente ma chiaramente Gesù afferma in Giovanni 3,16: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”

Le affermazioni di Gesù in proposito sono numerose. Mi fa bene rileggerle, a parte poi quanto affermano gli evangelisti, San Paolo e gli altri. In più anche nell’Antico Testamento appare il tema della vita eterna.

In conclusione si vede che la fede, anche in questo caso, ci illustra ciò che non si vede. Il sostegno è sempre Gesù risorto a cui credo .

 Dopo un intervento chirurgico sono tornato a casa portando con me una riflessione scritta poco prima:

 

Sono venuto qui in ospedale dove mi opereranno fra tre giorni con l’atteggiamento di un cristiano devoto. Mi ero affidato a Dio perché si compisse la Sua volontà. Dopo un giorno mi sono reso conto che non bastava rimettersi alla volontà di Dio ma era necessario essere contemplativo. Sembra una differenza da poco ma non lo è.

Il devoto normalmente pensa ai doveri da compiere e chiede aiuto a Dio. Il contemplativo è molto di più. Intanto campa non per realizzare i suoi programmi ma per praticare ciò che Gesù gli chiede. Le sofferenze che qui ci affliggono sono come una piccola imitazione delle sofferenze vere che Gesù ha sofferto da parte di chi lo odiava. Piccolezze le mie. Quando l’infermiera mi chiede scusa perché non trova la vena e mi fa soffrire, ridiamo insieme perché le dico chiaramente che penso a Gesù e prego per lei. Per cui: giù alla ricerca della vena senza cautele.

 Così per le altre faccende.

 E’ continuo il dialogo con Gesù specie nel tempo dedicato esplicitamente all’orazione mentale. Ogni tanto faccio silenzio perché Gesù m’ispiri ciò che vuole.

 In ospedale mi sento un distributore di grazie: come un maestro d’orchestra che indirizza qua e là le grazie che il Signore mi rifornisce. Sto con Gesù e sono in missione per conto di Dio. Altro che devoto. Se non pensassi così avrei sprecato gli 80 anni meno 18 che ho passato come figlio di San Josemaría. 

 Ho appreso che San Francesco non voleva che i suoi frati studiassero teologia o altro: la sua sorgente di pietà era la contemplazione del Crocifisso. Meraviglia l’omissione degli studi ma, a ben guardare, l’elemento significativo sta proprio nel ritenere che la contemplazione soddisfi le esigenze dell’anima.

Considerando le verità della fede si ha una conferma della semplicità di quanto ci viene proposto a credere. Scrivo oggi che è la festa del Corpo e del Sangue del Signore. Il più ignorante è in grado di capire di che cosa si stia parlando. Il messaggio è che le verità della fede possono essere approfondite con lo studio ma ciò che importa è considerarle e meditarci su…

Pensandoci bene, io non ho mai studiato la figura di mio padre eppure ho ben presente ogni aspetto del suo carattere e del suo stile di vita: ogni particolare mi è chiaro, grazie all’osservazione. Così per mia madre o per i miei amici più vicini. Osservare e contemplare con simpatia porta alla profondità della conoscenza.

Ho presente un quadro in cui San Francesco contempla il Crocifisso. Se ci penso, ho bisogno anch’io di stare davanti al Crocifisso. Contemplando, a poco a poco diventa chiara tutta la dottrina che ho imparato ma la interpreto in modo autentico e vivo.

Ecco qualcosa di cui la nostra epoca ha bisogno. Riscoprire la contemplazione. Non aver fretta. Avere il coraggio di ritagliare del tempo fronteggiando le urgenze che la vita m’impone: un tempo di attenzione davanti alle verità della fede. Carne e Sangue, Pane e Vino: non potrebbero esserci elementi più semplici per svelare al cuore le profondità di Dio.

Gratias Tibi Deus, gratias Tibi.

 

 Noi viviamo in una società che non si può più dire cristiana se non per un’eredità culturale. Il clima generale induce ognuno a vivere in una prospettiva legata a faccende terrene. Il meglio che un giovane si può augurare è trovare una buona e bella moglie e fare un lavoro redditizio. Se può fare una bella carriera tanto meglio e forse arriva a capire che un ruolo di leader comporta anche un’umanità sufficiente per comprendere gli altri. Successo e ricchezza sono l’obbiettivo anche se si sa, ma si evita di pensarlo, che a un certo punto i malanni e la morte verranno a disturbare il bel progetto. Questa prospettiva è povera e non è cristiana eppure ce la troviamo dentro ispirata da social media, giornali, tv e cultura generale.

Un laico cristiano è chiamato sì a essere un buon marito e un lodevole professionista ma l’asse della sua vocazione è identificarsi con Gesù. Il cristiano pensa come pensava Gesù, più o meno con tante ammaccature, ma la sua chiamata è quella: l’identificazione con Cristo. La sua condizione laicale lo chiama ad essere esemplare in tutto: matrimonio, professione, amicizie, vacanze… ma l’intenzione centrale è essere santo e apostolico attraverso le faccende della vita.

Non ha senso accettare il modello della brava persona che aggiunge alla propria condizione momenti di preghiera e di generosità con Dio. Questo cristianesimo sovrapposto ad uno stile di vita pagano non funziona, eppure è diffuso fra i tanti che ancora si dicono cristiani.

Nossignore. Occorre capire che essere cristiani è una chiamata a imitare Gesù. Lo scopo della mia vita non è il successo ma l’amore: amore di Dio e del prossimo. Sono qui per diffondere il Vangelo che tento io di vivere per primo. Valorizzare la condizione laicale non significa appiattirsi sulla mentalità mondana condita con qualche pensiero spirituale. Essere laici cristiani significa seguire Gesù percorrendo con gioia e dedizione i percorsi professionali, familiari, ecc. La morte non è un disastro improvviso: è l’inizio di una nuova vita. I dolori e le contraddizioni sono parte della strada che ha percorso Gesù. Il tesoro incredibile della Santa Messa è il centro della vita interiore: mangiamo Gesù. La lettura del Vangelo, ogni giorno anche se brevemente, è il sale della vita. E tutte le altre pratiche cristiane si incastonano come pietre preziose in questo percorso. Il colloquio interiore con Dio è costante.

Oggi non c’è bisogno di brava gente, ci vogliono i santi. I santi della porta accanto.