giovedì 21 novembre 2019

Mogol

Ho conosciuto Mogol. Due chiacchiere prima del suo spettacolo al Festival d’autunno di Catanzaro. Due chiacchiere molto pregnanti perché gli ho chiesto, e mi ha raccontato, la storia del messaggio che Lucio Battisti gli ha inviato dall’aldilà. Un messaggio inequivocabile pervenuto da più parti. Mi ha colpito l’impegno con cui voleva trasmettermi questa esperienza del soprannaturale che, guarda caso, è confluita in una canzone, cantata da Celentano e musicata da Gianni Bella con parole (bellissime) dello stesso Mogol. Aldilà di questa toccante testimonianza mi ha colpito il candore da vero poeta che ha manifestato durante lo spettacolo. Il testo delle canzoni di Battisti nasce dalla vita e dalle esperienze di Mogol. Una di queste è stata preceduta da un’affermazione che mi ha commosso. All’incirca Mogol ha detto: io sento che non riesco a fare tutto il bene che vorrei fare, a differenza di mia moglie che riesce a fare cose incredibili; perciò ho dedicato una canzone a una donna anziana che prega sola in una chiesa, a una prostituta che torna a casa e mette sul comodino dello sfruttatore i soldi che ha portato a casa, a una ragazza madre che si occupa, sola, del suo bambino. Spunta allora una canzone il cui testo è suggestivo ma che, con questa spiegazione, diventa commovente: “Anche per te” è il titolo.
Per te che è ancora notte e già prepari il tuo caffè Che ti vesti senza più guardar lo specchio dietro a te Che poi entri in chiesa e preghi piano E intanto pensi al mondo, ormai, per te così lontano 
Per te che di mattina torni a casa tua, perché Per strada più nessuno ha freddo e cerca più di te
Per te che metti i soldi accanto a lui che dorme E aggiungi ancora un po' d'amore a chi non sa che farne
Anche per te vorrei morire ed io morir non so Anche per te darei qualcosa che non ho
E così, e così, e così Io resto qui A darle i miei pensieri A darle quel che ieri Avrei affidato al vento, cercando di raggiungere chi Al vento avrebbe detto sì
Per te che di mattina svegli il tuo bambino e poi Lo vesti e lo accompagni a scuola e al tuo lavoro vai
Per te che un errore ti è costato tanto Che tremi nel guardare un uomo e vivi di rimpianto
Anche per te vorrei morire ed io morir non so Anche per te darei qualcosa che non ho
E così, e così, e così Io resto qui A darle i miei pensieri
A darle quel che ieri Avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi Al vento avrebbe detto sì

Conoscere Mogol mi ha confermato che il poeta vero ha lo stile dell’eterno fanciullo, lo sguardo e la semplicità del bambino. Non è irriverente dire questo; Gesù diceva che il regno dei cieli è di chi si fa simile a un bambino. Mi è sembrato chiaro che il poeta e il santo si assomigliano. Ci sono vari tipi di poeti. C’è il poeta vate, il poeta pensatore… ma i massimi poeti sono completi, riuniscono in sé i vari aspetti e sanno esprimersi col cuore. Anche i santi si esprimono col cuore, che è pieno di Spirito Santo. I santi non sono mai noiosi, non tengono la loro fede nel freezer della cultura accademica. Basti pensare a San Francesco. Può esistere un testo più commovente e suggestivo del cantico delle creature? Poesia pura.
«Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria e 'honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimu, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle, in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli che 'l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi' Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate»
Non è irriverente accostare i due poeti: uno riverso sull’umanità dolente, l’altro illuminato dalla grazia anche davanti agli eventi più terribili come la morte, la sorella morte. In entrambi vibra la corda dell’amore e della compassione.

domenica 10 novembre 2019

La compagnia dei defunti


Per un napoletano è sconveniente parlare della morte perché sa che una reazione negativa è immediata negli ascoltatori; ciò non ostante i napoletani sono fedeli al ricordo dei propri congiunti defunti, preparano dei dolci particolari nel mese di novembre e vanno nei cimiteri.
 Tuttavia, a Napoli come altrove,  è lecita la domanda su cosa accadrà al compimento della vita terrena e bene ne parlò Papa Benedetto: “Noi oggi abbiamo spesso un po' paura di parlare della vita eterna. Parliamo delle cose che sono utili per il mondo, mostriamo che il Cristianesimo aiuta anche a migliorare il mondo, ma non osiamo dire che la sua meta è la vita eterna e che da tale meta vengono poi i criteri della vita. Dobbiamo capire di nuovo che il Cristianesimo rimane un «frammento» se non pensiamo a questa meta … e dobbiamo di nuovo riconoscere che solo nella grande prospettiva della vita eterna il Cristianesimo rivela tutto il senso. Dobbiamo avere il coraggio, la gioia, la grande speranza che la vita eterna c'è, è la vera vita e da questa vera vita viene la luce che illumina anche questo mondo”. (Dall’omelia per la S. Messa con la Pontificia Commissione Biblica, 17 aprile 2010).
San Paolo racconta che “fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare” (seconda lettera ai Corinzi); e questa è, apparentemente, una fregatura. Abbiamo un testimone che è stato in cielo e ci viene a dire che non è lecito pronunziare quello che udì, lasciandoci a bocca asciutta. Nella prima lettera ai Corinzi si esprime in modo analogo: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano”. In realtà qualcosa di interessante Paolo ci dice: ciò che ci aspetta è talmente al di sopra della nostra immaginazione che è impossibile trasmetterlo con mezzi umani. Questo è già di conforto.
La mia e nostra incapacità a immaginarci il Paradiso è legittimata.
Su quest’argomento Gesù si pronuncia chiaramente approfittando di un tranello che i sadducei gli tendono:
  Gli si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie».
 I sadducei l’avevano pensata bene: apparentemente è un agguato senza uscita. Il loro errore è simile al nostro quando pensiamo con un metro troppo umano.
  Gesù rispose: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.
 Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui».

San Paolo pone la risurrezione di Cristo come pilastro della fede e rimprovera chi non crede:   
Come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono…Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. E aggiunge l’elenco delle persone che hanno visto Cristo risorto, centinaia di persone, fra cui lui stesso per ultimo. In sintesi i Vangeli con tutto il Nuovo Testamento parlano continuamente della vita eterna.
 A questo proposito ricordo l’impressione cocente che mi lasciò la scena di mio padre, morto, messo in una bara come se si trattasse di un sacco di patate: lui che era una persona interessante, con un mondo interiore vivo, capace di affetto profondo. Era difficile immaginare che stesse vivendo altrove. Qui interviene la fede: grazie a un testimone autorevole, che parla in nome di Dio, riesco a credere a cose che non vedo e che mi sembrano inverosimili. Mio padre stava vivendo altrove in un modo che per me è inimmaginabile.
Queste considerazioni mi servono per far dileguare dalla mia mente gli ostacoli a credere con tutto il cuore, e allora capisco cosa vuol dire la comunione dei santi e sto bene con le persone defunte a cui voglio bene. Mi rendo conto che pregare ha un senso e io, da parte mia, mi sento incoraggiato da loro a non fare lo scemo e ad affrontare la vita senza paura. Senza paura della vita e senza paura della morte, diceva San Josemaría.



domenica 3 novembre 2019

Gli amici e Dio


L’uomo è felice quando è in sintonia con Dio. Una creatura sta bene quando ha un immediato rapporto col suo creatore. E’ anche una mia esperienza personale. Dopo la confessione avverto una particolare leggerezza, un’euforia che nasce, credo, dalla grazia di Dio e dalla mia seppur scarsa corrispondenza.
 Un problema si presenta quando desidero avvicinare i miei amici a Dio. Alcuni in verità procedono speditamente ma ci sono altri che sembrano refrattari. Mi viene in mente la fatica di Santa Monica che ha pregato giorno e notte per la conversione di suo figlio. Ha sofferto, ha versato mote lacrime, si è data da fare, coinvolgendo anche Sant’Ambrogio, ma alla fine il risultato è stato splendido. Agostino l’ha sorpresa facendosi addirittura monaco senza limitarsi al buon matrimonio che Monica si aspettava.
Ettore Bernabei, il grande papà della Rai, era un autentico cristiano e desiderava avvicinare a Dio i suoi amici. E’ arrivato a scrivere un libro assieme a un suo amico per avere l’occasione di stargli accanto. L’amico soffriva per la recente vedovanza e Ettore desiderava trasmettergli la fede nella vita eterna promessa da Gesù.
Leonardo Mondadori, una volta convertito, desiderava trasmettere la sua gioia agli amici e, fra l’altro, si adoperò con successo per diffondere in tutto il mondo il primo libro di un papa: Varcare la soglia della speranza, di Giovanni Paolo II.
Il Signore rispetta la volontà dell’uomo, per questo le conversioni non si ottengono facilmente: lo stesso Gesù trasformò l’acqua in vino ma quando propose a un giovane ricco di seguirlo non riuscì a cambiargli il cuore e si trovò davanti un rifiuto. Ciò non ostante in un altro momento disse: “La messe è molta ma gli operai sono pochi, pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe” (Luca 10). Le conversioni dipendono dalla preghiera. Ci troviamo di fronte al mistero dell’azione della grazia di Dio che agisce pur rispettando la libertà dell’uomo.
Ho un elenco di amici e parenti che vorrei avvicinare a Dio. Lo leggo e prego ogni mattina per loro. La preghiera arriva sempre al bersaglio ma “cosa avverrà” resta nel mistero della volontà di Dio.
Mi è capitato di preoccuparmi fin troppo per il desiderio che le persone per cui prego arrivino alla completa conversione. Sono stato anche in ansia nel vedere istituzioni apostoliche rallentare il ritmo. Ora no. Resto nella gioia dello Spirito Santo che soffia dove vuole. A me resta il compito di non smettere di pregare. Nell’Antico Testamento, libro dell’Esodo 17, c’è una scena che rappresenta in modo incisivo la necessità della preghiera: durante una battaglia, finché Mosè teneva le braccia alzate Israele vinceva, quando le abbassava Israele perdeva, tanto che Aronne e Cur intervengono e lo aiutano a tenere le braccia alzate fino alla vittoria finale di Giosuè. Un esempio convincente della necessità della preghiera.
Gesù sceglie gli apostoli dopo un’intera notte passata pregando. Racconta  San Luca al capitolo 6: “In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli”. C’è una stretta connessione fra la notte passata in preghiera e la scelta degli apostoli.
Una morale c’è: devo accompagnare i miei buoni desideri con la preghiera. Più prego meglio è.