sabato 29 giugno 2013

I cristiani devono fare e insegnare



Sabato 22 giugno Papa Francesco non ha partecipato al concerto dell’orchestra Rai nell’aula Nervi. La sedia allestita in posizione preminente è rimasta vuota. Cos’ha voluto dirci il Papa con quell’assenza imprevista che ha provocato qualche dispiacere? Gli analisti ricameranno sulla differenza dello stile del Papa e quello della Curia pontificia, ma la risposta va cercata nella semplicità. Papa Francesco sta dimostrando di avvertire l’urgenza, anzi l’emergenza, di un cambio di prospettiva. Basta con la tiepidezza. Occorrono scelte radicali. Da una parte la forza di dedicare tempo quotidiano alle porte d’ingresso della grazia di Dio: la comunione frequente, la lettura del Vangelo, la confessione, la preghiera silenziosa davanti al Tabernacolo. Dall’altra la necessità di uscire da noi stessi e andare nelle “periferie”, intendendo sia le periferie delle grandi città dove vivono gli emarginati sia le periferie di coloro che conducono un’esistenza lontana da Dio. Francesco sta dedicando energie infinite a questo compito. Predica più volte al giorno, nelle udienze si sottopone a fatiche massacranti per riuscire a salutare anche il pellegrino più “periferico”, ogni giorno incontra un’infinità di persone. Raccontano gli Atti degli Apostoli (1,1) che Gesù cominciò a “facere et docere” a fare e insegnare. Ecco la chiave per capire. Francesco non giudica sbagliata la partecipazione ad un concerto ma dimostra coi fatti che c’è urgenza di darsi agli altri. Dà l’esempio: non c’è tempo per altro.


lunedì 24 giugno 2013

L'Europa del futuro sarà cristiana


 
Un cinese è venuto a studiare diritto romano in Italia perché, dice lui, non si può fondare un diritto sulle massime di Confucio. E ha aggiunto: “Noi cinesi ammiriamo la civiltà occidentale, ma veniamo qui e ci accorgiamo che la state buttando dalla finestra”. Così sembra quando si legge che due medici belgi hanno dichiarato che in pratica è già in atto l’eutanasia dei bambini affetti da malattie gravi. Questo avviene nella capitale dell’unione europea. E’ giusto desiderare l’unità di un’Europa che è stata, in passato, troppo divisa ma è giusto porsi il problema di quale Europa vogliamo costruire. Papa Ratzinger con gli intellettuali francesi nel 2008 al Collège des Bernardins iniziò con la frase: “Vorrei parlarvi stasera … delle origini della cultura europea”. E’ un discorso che tutti i liceali dovrebbero assimilare. Ratzinger ricordò, riferendosi ai monaci benedettini, “che non era loro intenzione di creare una cultura... La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio.” Obiettivo elementare ma fondamentale. Poiché cercavano Dio è venuta fuori una cultura luminosa. E chi fonderà l’Europa del futuro? O saranno i cristiani o verrà fuori il mostro che già s’intravede. Salveranno l’Europa gli uomini che sanno amare, credere e sperare. Perciò è venuta l’ora che i cristiani smettano di essere dei poveri cristi e comincino a riporre la fiducia in Dio (da cui proviene la forza) e a svolgere un apostolato simile a quello dei primi cristiani.


venerdì 14 giugno 2013

Italia, il miracolo ucciso dalle lobby. Dall'Avvenire dell'11 giugno.

                                                 Ettore Bernabei con Pippo Corigliano
 
Bernabei: Italia, il miracolo ucciso dalle lobby
«Non ho inteso e non intendo fare lo storico». La premessa di Ettore Bernabei è dettata da umiltà, ma anche da consapevolezza: «Non ne ho né la preparazione scientifica né la mentalità filologica». Ma quando parli con lui ti accorgi subito di avere davanti un fiume in piena. Un uomo che nonostante gli anni, ottimamente portati, ha il vivo desiderio di ricordare le ragioni dei fasti del boom economico e, di conseguenza, i motivi per cui da quel momento in poi l’Italia ha inanellato una serie di disavventure e vere e proprie sventure politiche, sociali ed economiche. Argomentazione utilizzate ampiamente nel libro intervista con Pippo Corigliano Italia del "miracolo" e del futuro. E qui vale per intero la premessa: quello di Bernabei non è il racconto di uno storico, ma è un racconto di vita che nasce dall’esperienza di giornalista e manager di primissimo livello; che attinge, come lui stesso tiene a sottolineare, alle frequentazioni e alle confidenze di personaggi come Giovanni Battista Montini, Giovanni Benelli, Agostino Casaroli, per cominciare con gli ecclesiastici; Giorgio La Pira, Alcide De Gasperi, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Palmiro Togliatti, Giorgio Almirante, Bettino Craxi, Giovanni Malagodi, per concludere con i politici. Ma soprattutto che è animato dal desiderio di «ricordare ai cattolici di questo Paese come siano stati capaci di portarlo in pochi anni al boom economico e al quarto posto fra le economie più industrializzate, senza sposare le logiche economiche del liberismo, con un sano connubio fra contributo pubblico e impegno privato».
Perché questa annotazione specifica sui cattolici?
«Perché i cattolici hanno dimenticato quello di cui sono stati capaci in quegli anni, proprio grazie all’applicazione in politica economica delle logiche sottese alla dottrina sociale della Chiesa. Perché i cattolici sono stati travolti da una certa propaganda "anticattolica" costruita a tavolino e hanno finito per crederci, smettendo di fare politica. Non si può più continuare a fare da supporto alla destra o alla sinistra. I cattolici devono tornare a fare politica in prima persona portando avanti i valori della fede».
Questo come si traduce in politica economica?
«Smettendo di far pagare ai poveri gli errori di strategia economica fatti dai ricchi, come sta avvenendo dall’inizio di questa crisi, frutto di un’ideologia economica che aveva già mostrato il suo fallimento nel ’29. È il momento che quei poveri possano tornare a essere meno poveri rapidamente, che si possa ricostituire la classe media che è stata la nostra forza. Bisogna cominciare a ridare un po’ di speranza alla gente, che non sa più dove battere la testa anche politicamente».
Nel libro lei sostiene che l’attuale prostrazione del Paese, anche dal punto di vista politico, è il frutto di una terza guerra mondiale.
«Una guerra condotta in guanti bianchi, dalla quale il sistema di economia sociale costruito sulla collaborazione fra pubblico e privato, ispirato dal pensiero cattolico, che ci ha dato benessere, ricchezza e libertà, è uscito sconfitto in seguito a una lunga serie di attacchi, condotti dall’ideologia liberista e dalla finanza di speculazione, che ha la sua forza e il motore reale nelle lobby economiche americane e inglesi e che ha avuto in Ronald Reagan e in Margaret Thatcher i suoi paladini. Una terza guerra mondiale che per noi è stata molto più rovinosa della seconda».
Quando è cominciata?
«Qui, senza partire dal principio, bisogna dire che quando De Gasperi aderì all’Alleanza Atlantica, specificò che l’Italia sarebbe stato un Paese fedele al blocco occidentale, ma declinò cortesemente l’invito ad aderire alle grandi organizzazioni lobbistiche angloamericane, convinto di poter attuare una politica di crescita economica e sociale alternativa. De Gasperi era un liberale nel senso tradizionale del termine: conservatore e credente. Dialogando con personaggi illuminati come Montini, comprese che gli ideali economico politici portati avanti dai giovani del gruppo di Camaldoli (i vari Fanfani, La Pira, Dossetti...), fondati in economia non su un mercato che si autoregola, ma sulle teorie di John Maynard Keynes, erano quelli giusti. Non fu semplice far accettare queste teorie nella Dc. La svolta venne dalla segreteria Fanfani fra il 1954 e il 1958, che pose le basi per il boom economico».
Quali erano queste basi?
«Le banche di Stato sostenevano le grandi aziende a partecipazione statale che dovevano fornire a basso costo l’energia, i servizi e gli strumenti necessari alle aziende private, consentendo loro di affrontare la concorrenza di Paesi che possiedono a basso costo quelle materie prime che noi non abbiamo. Questo fu il motore del miracolo economico. E abbiamo dimenticato che a ispirarlo fu un gruppo di economisti e politici cattolici. Tanto che furono proprio gli inglesi a parlare ironicamente di "miracolo" italiano, convinti come erano che i cattolici fossero costituzionalmente incapaci di dare solidità, benessere e libertà ai loro Paesi. Poi, col governo cosiddetto delle "convergenze parallele", diventammo la quarta potenza mondiale superando anche gli inglesi, perché lo stesso Togliatti aveva capito che bisognava utilizzare e appoggiare quel modello di sviluppo».
E la terza guerra mondiale quando è cominciata?
«Quando le potenti lobby economiche che fondano la loro ricchezza e il loro potere sul liberismo hanno compreso che il successo ottenuto dalla politica sociale intrapresa in Italia poteva mettere a rischio i loro interessi mondiali. Allora sono capitati una serie di eventi, dalla morte di Mattei al crollo dell’Olivetti. Allora la rivolta studentesca che in Europa è durata due anni da noi è durata 12 e si è trasformata in contestazione operaia, producendo, nei fatti, una riduzione della capacità produttive e culturali del Paese. Sono partite una serie di iniziative come le campagne sul divorzio e sull’aborto, promosse da lobby anticattoliche, per indebolire lo zoccolo duro del Paese. Poi i grandi attentati, la stagione del terrorismo, lo spostamento della centrale mondiale della droga in Sicilia, poi il giustizialismo per cancellare definitivamente la Dc e i suoi alleati. Le privatizzazioni sono state il definitivo colpo di grazia».
Viene in mente l’attuale caso dell’Ilva di Taranto.
«E dobbiamo pregare che queste ultime nefandezze non siano attuate e l’Ilva torni a essere un’azienda forte e non inquinante».
Tutto questo è accaduto in nome di una logica economica che ci ha condotto alla crisi attuale.
«Questa crisi si è mostrata fin dal principio più grave di quella del ’29, che era già stata una crisi del sistema e non, come si disse, una normale oscillazione ciclica. Nei fatti il liberismo in economia è un’ideologia che conduce ad abbandonare tutte le regole, anche quelle morali. Così i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ma questo lo sapevano già a fine ’800 gli economisti più accorti».
Se le chiedessi una ricetta pratica, da dove comincerebbe?
«La grande idea di Fanfani a inizio degli anni ’60 fu quella di aumentare i salari, cioè il potere di acquisto dei prestatori d’opera. Quando arrivai in Rai nel 1961 i sindacati chiesero aumenti del 12%. L’Iri non voleva dare più del 6%. Andai da Fanfani che mi disse di offrire il 20. Così è cominciata la grande stagione della tv che seppe trainare culturalmente il Paese».

Roberto I. Zanini

contro l'onda di morte l'amore dell'Amore


L’ondata di opinione pubblica, provocata da lobby internazionali, che ha portato alla legittimazione del divorzio, dell’aborto e, in prospettiva, dell’eutanasia e del matrimonio gay, sembra inarrestabile anche se traspare sempre di più il volto demoniaco sottostante a queste operazioni, assieme ad aspetti ridicoli. In Francia l’immagine del neonato che dice “mia madre si chiama Roberto” è eloquente. La pretesa di chiamare matrimonio l’unione civile fra persone dello stesso sesso porta con sé la contraddizione della parola stessa, che contiene il concetto di maternità. La lunga battaglia per rendere dissolubile il matrimonio adesso è orientata a rendere indissolubile l’unione fra due gay. Ma c’è un risvolto positivo: siamo indotti a riflettere sul senso ultimo della vita e delle cose. La vita nostra è un dono, le cure dei genitori nell’allevarci è stato un dono, l’innamoramento è un dono e così è l’amicizia sincera. Il volontariato è un dono. La natura è un dono e così l’arte… Qui, invece, traspare il volto di Dio e, in particolare, il volto di Gesù. Quando Papa Francesco invita i sacerdoti a sostare a lungo davanti al tabernacolo, anche a costo di addormentarsi talvolta, invita in realtà a farsi irradiare dalla luce dell’amore. Il tabernacolo non è un piccolo mausoleo, è uno scrigno che contiene un dono d’amore, l’autore dell’amore. Un suggerimento ai pastori per contrastare l’onda di morte: chiedere a laici, religiosi e sacerdoti una lunga preghiera davanti all’Ostia consacrata.



giovedì 6 giugno 2013

Fede e professionalità. Basta con gli adulti smarriti

 
La pedagogia di Papa Francesco è chiara: da una parte induce ad uscire da se stessi, ad andare incontro agli altri, a darsi da fare per il bene materiale e spirituale delle persone. Dall’altra consiglia di coltivare un intenso rapporto con Dio: confessarsi, pregare un tempo consistente davanti al tabernacolo, recitare il rosario e così via. Il Papa elimina il dualismo tra vita attiva e contemplativa, fonte di equivoci. Oggi il problema principale della Chiesa non è il Vatileaks o lo Ior. E nemmeno la legislazione sulle nozze gay, l’aborto, l’eutanasia (temi importanti ma non decisivi). Il problema sta nei cristiani insipidi. Sant’Agostino diceva che se i cristiani fossero cristiani non ci sarebbe nessun pagano. De Gasperi non voleva che la Democrazia Cristiana si chiamasse così ma cedette per il pericolo comunista. Sappiamo che il nome cristiana è stato fonte di scandalo nel momento della decadenza ma sappiamo anche che nel dopoguerra c’erano politici che univano una profonda vita interiore, una fede vissuta, al desiderio di servire il Paese con grandi capacità professionali. Grazie a quegli uomini, e al lavoro di tutti gli Italiani, l’Italia ebbe uno sviluppo prodigioso. Oggi è il momento di formare i giovani su questo doppio binario, fede e professionalità, e la migliore formazione  è l’esempio. Basta con gli adulti smarriti: dobbiamo dare esempio e fiducia. Si veda che frequentiamo i sacramenti e che affrontiamo con serenità e determinazione le difficoltà del nostro tempo.