E' iniziata la Settimana Santa. Attendo il Giovedì Santo con una speciale trepidazione. Gesù aveva "desiderato ardentemente" (Lc 22) che quel giorno arrivasse per svelare per intero ciò che aveva nel cuore. San Giovanni è rimasto talmente impressionato che buona parte del suo vangelo è dedicato a quel discorso dell'Ultima Cena. Leggendolo si rimane attanagliati dall'intensità misteriosa che quelle parole esprimono. "Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate l'un l'altro come io vi ho amato"(Gv 13). Un comandamento che risulta sempre nuovo perché non si finisce mai d'imparare ad amare. In quella circostanza Gesù lava i piedi agli apostoli. Giovanni descrive anche la tovaglia che si mette davanti. Non mi devo abituare a questa scena. L'abitudine è la compagna della stoltezza. Voglio sorprendermi davanti a quel gesto come si sorprese Pietro. E poi "Questo è il mio corpo", "Questo è il mio sangue". MangiarLo, identificarsi con Lui.
Non si può immaginare l'Ultima Cena senza la Crocifissione del giorno dopo e, fortunatamente, non si può pensare alla Crocifissione senza la Risurrezione. Nel Giovedì Santo c'è tutto: c'è la permanenza con noi del suo Cuore infiammato nell'Eucarestia. Quest'anno vorrei vivere bene quel momento. Assieme agli altri ma in comunione silenziosa con lo sgomento di quella scena.
Alla fine della cena Gesù esce dal clima familiare pieno di calore e viene avvolto dalle tenebre. "Era notte" annota San Giovanni trasmettendo un brivido. Quell'oscurità è anche la mia resistenza ad aprirmi alla luce di Gesù. Gli terrò compagnia nel Santissimo esposto la notte, nelle chiese della città.
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