mercoledì 21 dicembre 2011

Il mio Te Deum di fine d'anno per la rivista Tempi




Si conclude l’anno in cui abbiamo commemorato i 150 anni dell’unità d’Italia. Quasi ce ne dimentichiamo perché in questi ultimi mesi ci hanno distratto i venti di crisi che si sono abbattuti sul nostro Paese. Però, proprio per la crisi che lo attraversa, gli vogliamo un po’ più di bene a questo stivale che raccoglie tanta bella gente come una cornucopia traboccante. Mi piace l’immagine della cornucopia perché contiene cose buone e anche perché le sparge in giro con abbondanza. Una volta sentii dire da un sacerdote – veronese, si badi bene – “cosa sarebbe il mondo senza Napoli?”. Certamente un leghista direbbe subito che ci sarebbe meno spazzatura in giro, ma se avessimo la pazienza di aspettare alcuni anni, quelli necessari al leghista per diventare più saggio e maturo, vedremmo che anche lui cambierebbe parere e ammetterebbe che, se non ci fosse Napoli, al mondo mancherebbe un pezzo significativo. Allo stesso modo si potrebbe dire: “come sarebbe il mondo senza l’Italia?”. Stavolta il pezzo mancante sarebbe così essenziale che non riusciamo nemmeno a immaginarcelo un mondo senza l’Italia. L’Italia non è solo Roma, ma già Roma, da sola, è caput mundi, da diversi punti di vista. Quindi senza Italia, mio caro mondo, saresti decapitato.
Volendo esprimere ciò che, secondo me, fa di un italiano un italiano vero, non mi vengono in mente i versi della canzone di Toto Cotugno, simpatica ma non esaustiva. Mi viene in mente Francesco d’Assisi. Perché, a pensarci bene, in ogni italiano c’è un residuo di San Francesco. Per alcuni in modo diluito, in modo tanto diluito da sembrare assente. Ma c’è, anche se in modo inconscio. Chi ha trasmesso agli italiani il fascino del cantico delle creature? E’ un cantico che periodicamente va riletto perché lì non c’è solo la fede, la speranza e la carità, lì c’è lo stile italiano, l’italian way of living, tanto per dirla in modo non italiano. Sono stato molto amico di un italiano vero, Indro Montanelli, e ho tentato in vari modi di portarlo alla conversione e alla confessione. Sono riuscito solo a portarlo dal Papa, il che non è stato poco, soprattutto per lui. Ma nella sua mente, ricca di cultura ma priva di teologia, c’era una porta per la fede e quella porta si chiamava San Francesco. La mamma di Indro era credente e pregava per il figlio, e Indro qualificava la fede della madre come “francescana”. Alludeva a quell’intuizione di Dio che lui non rifiutava. Indro stimava e amava la sua “mammetta”, come diceva, e sono stato testimone, qualche ora dopo l’attentato che subì nel ’77,  della sua amorevole preoccupazione di non far spaventare sua madre. Dette subito ordine di dare per guasto il televisore e telefonò alla mamma intrattenendola lungamente, per poi aggiungere alla fine che, se qualcuno le parlava di un attentato, si trattava di ben poca cosa. Eh la mamma, la mamma! Ecco un’altra caratteristica dell’italianità: la mamma. E quasi ce ne vergogniamo. Sembra che quel bel sentimento di amore della mamma e per la mamma sia qualcosa da coprire con pudore. All’estero, si dice con ammirazione, non c’è questo mammismo. Non bisogna esagerare col mammismo ma, quando si va a parlare di soldi (che sembra l’unico argomento serio sulla piazza), si scopre che il debito pubblico del nostro Stato è bilanciato da un risparmio familiare che equilibra le sorti economiche del paese. E la famiglia che risparmia chi è? Quella in cui c’è la mamma, che insegna l’equilibrio e la sobrietà. Perciò vorrei contare due punti a favore degli italiani: San Francesco e la mamma.
Sentiamo lamentare la fuga dei cervelli che dall’Italia vanno in America o, genericamente, all’”estero”. Ma ci chiediamo ogni tanto perché questi cervelli all’estero hanno tanto successo? Si devono confrontare con gli indiani e i cinesi che escono fuori da selezioni oceaniche. Uno su un milione. I cervelli asiatici che trovano accoglienza in America ci arrivano così, attraverso una selezione supersevera. Capita che un normale laureato italiano abbia sempre una buona accoglienza e spesso il successo immediato “all’estero”. Come mai? Una ragione ci deve pur essere. Secondo me la ragione è che la storia non è acqua e che il nostro popolo, dalla Sicilia al Piemonte, è – diciamolo pure, superando l’abitudine all’autodenigrazione - intelligente. Non solo, ma dobbiamo anche dire una verità controcorrente: la nostra scuola è buona. Gli attuali padroni del mondo, i noti anglo-olandesi-americani e i nuovi indiani, cinesi, brasiliani ecc., avranno pure una formazione scientifica specialistica ma non hanno la tradizione umanistica, che, con buona pace e rispetto per altri popoli e culture, ha  le radici a casa nostra. Radici, come ha detto recentemente il Papa parlando al parlamento tedesco, che sono romane, giudaiche e greche. Scusate se è poco. E queste radici quale albero hanno alimentato? L’albero dell’umanesimo preparato nei monasteri di tal Benedetto, classe 480 dopo Cristo, nato a Norcia (non a Oxford, Cambridge o Parigi) paese noto per i prosciutti e la buona cucina. Benedetto, è da osservare, nacque quattro anni dopo la deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore romano d’Occidente. Potremmo dire che idealmente ne raccoglie il testimone. Ricordo cose note ma sembra che alle volte ce le dimentichiamo. E il succitato Francesco da dove viene fuori? Viene dalla fioritura di quel Medio Evo che precedette lo splendore del rinascimento italiano che ci ha lasciato, malgrado tutto, il buon gusto nelle vene, tanto che la nostra moda continua a primeggiare malgrado i bot, lo spread e la BCE. A proposito, a Napoli quest’anno hanno inventato un nuovo fuoco d’artificio “o’ spred” che, alla faccia di chi continua a chiedersi cosa sia lo spread, illuminerà il golfo di Napoli al modico prezzo di 50 euro. In sintesi in questa nostra Italia non manca né l’intelligenza né la cultura. Se ne fa spreco, ma si spreca ciò che si possiede in abbondanza.
E infine vorrei fare una considerazione: noi  italiani abbiamo difetti, è vero. Ma sappiamo di averli. Sembra poco? Ho un amico francese che un giorno mi ha chiesto comprensione per i suoi connazionali. “Non è colpa nostra se ci presentiamo come presuntuosi e antipatici, è che fin dalle elementari c’insegnano che i francesi sono i migliori del mondo”. Guai a quelli che si sentono Uber alles! Nostro signore Gesù Cristo ha detto una sola volta “imparate da me”. Cosa dovevamo imparare da lui? “Che sono mite e umile di cuore”. Noi italiani forse non l’abbiamo imparato bene bene, però ci sentiamo i primi al mondo soltanto quando vinciamo i campionati mondiali di calcio. E siamo anche primi nelle spedizioni all’estero dei nostri militari, perché siamo i più amati dalle popolazioni locali. Militari che non si fanno onore perché sparano all’impazzata ma perché aiutano la povera gente. Ed è allora che mi viene da dire Viva l’Italia! Viva il cuore degli italiani!
Alla fine dell’anno, per questi motivi e per tanti altri mi sento di ringraziare il Signore, personalmente e come italiano: sono pieno di difetti Padre mio ma, grazie a tuo figlio Gesù, mi hai insegnato a voler bene. Non ci riesco a farlo del tutto ma, col Tuo aiuto, ci provo.



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