I miei
genitori erano brave persone ma non erano cristiani praticanti. Da bambino la
sera andavo a letto senza le preghiere della mamma, da piccolissimo una ninna
nanna e poi basta. Conoscere san Josemaría Escrivá è significato scoprire una
familiarità con Dio che per me non era abituale anzi era impensabile. La sua “presenza
di Dio” era esemplare, si notava. Sono passati tanti anni da allora e questo
continuo dialogo con Gesù si è andato radicando dentro di me. E’ come la barra
del timone della mia vita. Sempre di più mi affido al vento dello Spirito Santo
per la mia navigazione. L’esperienza mi ha insegnato che fare troppi progetti
non ha senso: la Provvidenza provvede, e mi trovo molto meglio.
In questi
giorni mi hanno proposto di fare un intervento formativo sull’etica del lavoro ai
neo ingegneri che s’iscrivono all’Ordine. Le uniche considerazioni che mi sono
venute in mente sono quelle ben note di Dostoevskij e
di Sant’Agostino. L’uno fa dire a Ivan Karamazov: “se Dio non esiste, tutto è permesso”, l’altro
scrive: “Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. Come si fa a parlare di etica senza parlare del
rapporto vivo, personale con Dio? Senza Dio l’etica diventa un’etichetta, una
serie di regolette pratiche di comportamento che lasciano il tempo che trovano.
Se insistono a invitarmi li avvertirò che parlerò della familiarità con Dio.
Quella che ho appreso, senza alcun merito da parte mia, da San Josemaría.
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