giovedì 27 luglio 2023

Mia madre

 Fra i doni che la Provvidenza mi ha fatto uno dei più importanti, o forse il più importante, è quello di aver avuto una madre napoletana. Wanda per la precisione. Era la sesta figlia di una famiglia che viveva alle rampe Brancaccio a Napoli in una casa dotata di un ampio cortile in cui i ragazzi degli appartamenti circostanti facevano vita in comune. Quest’esperienza ha fatto sì che il carattere fosse socievole: si rendeva conto dello stato d’animo di ogni persona e sapeva prenderla per il suo verso. In famiglia la frase ricorrente, da buona sesta figlia, era: “stai zitta tu che non capisci niente”. Forse per questo ha passato la sua gioventù meravigliandosi del fatto che qualcosa la capiva. Sta di fatto che, dopo le magistrali, vinse il concorso per insegnante d’asilo, che sembra un traguardo quasi ridicolo. Ma nel suo caso non lo fu. Il rapporto con i bambini l’aveva resa comprensiva anche perché il bambino, che c’è in ognuno di noi, veniva fuori grazie al suo modo di rapportarsi, lontano da ogni presunzione. Si sposò con mio padre che era agli antipodi. Vedovo, ingegnere (quando essere ingegnere pesava molto), studioso, posato. Lei era innamorata della vita con una visione sempre positiva delle cose. Se si faceva male a una mano diceva: per fortuna è la sinistra, pensa se fosse stata la destra! Perse il primo bambino a pochi mesi e dopo sono arrivato io. Inutile dire che ha trasformato la mia vita in una festa continua, con tutto che nel ‘42 eravamo sotto i bombardamenti. Nel cosiddetto “ricovero”, che era il sottoscala del palazzo, mi portava piccolino e io scherzavo con tutti i presenti. Cantava e conosceva tutte le canzoni napoletane. Mi fermo qui. Giusto per far capire che, rispetto a lei, io sono un pesantone.




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