domenica 15 dicembre 2019

O presepe

Papa Francesco in occasione della sua visita a Greccio ha scritto una dolce lettera sulla devozione del presepe che risale direttamente a San Francesco. Consiglio vivamente di leggerla: si trova facilmente sul web.
La consuetudine di preparare il presepe è estesa in tutto il mondo ma trova a Napoli un suo speciale radicamento. Edoardo De Filippo ha scritto una tenera commedia che tanti conoscono, Natale in casa Cupiello, in cui si confrontano due mondi. Quello dell’anziano Lucariello fatto di tradizioni, di unione familiare pur in mezzo alle immancabili asprezze derivate dalla convivenza (il figlio viziato e dispettoso che dice: “nun me piace ‘o presepe”) e, in contrapposizione, il mondo moderno in cui si agitano nuove esigenze di felicità egoistiche che generano tradimenti e fratture familiari. Lucariello (pur un mezzo a piccoli contrasti con la moglie che non sa fare il caffè ma resta la regina della frittata di cipolle) è intento a preparare con impegno il suo presepe mentre intorno si svolge una tragedia di cui non si rende conto: la figlia vuole mandare all’aria il matrimonio e vuol vivere col suo amante, generando tensioni terribili. Quando finalmente Lucariello si accorge del dramma intorno a lui, ne muore. Lo consola il figlio scapestrato che finalmente ammette: “me piace ‘o presepe”.
Vorrei ribadire che anche a “me piace ‘o presepe”. Mi piace il Natale e non lo trovo affatto una festa ormai paganizzata: intanto continua a chiamarsi Natale il che vuol dire che qualcuno è nato. Che poi questo qualcuno sia Dio in persona sta alla nostra fede crederlo: una fede sempre mancante, anche la mia, per cui non mi posso lamentare; posso invece pregare.
Quando si tentò di scrivere la costituzione europea ci fu chi si rifiutò di fare riferimento alle radici cristiane d’Europa. Andreotti senza scomporsi osservò che, comunque, la data bisognava metterla, e la data segna gli anni che ci separano dal Natale di Gesù…
 Tante luminarie rappresentano la continuità con la luce che “avvolse i pastori” (Luca 2,9) e con la luce della stella che guidò i Re Magi. Perciò quando vedo le strade illuminate con decorazioni particolari o il palazzo della Rinascente con una cascata di luci, penso che quelle luci sono la continuazione delle luci che attraggono i pastori e guidano i Re Magi: non stanno lì a caso.
 Tutti, pastori e Magi, portano regali e noi ci scambiamo doni per questo. La consuetudine di farsi i regali viene da lì: ce li scambiamo fra di noi ma in realtà sono un omaggio all’amore del Bambino. Scambiarsi doni è il massimo della festa, vuol dire che ritorniamo alla nostra vocazione originaria dell’amore.
I Magi sono costanti e determinati finché non raggiungono la meta, i pastori vanno “senz’indugio” come dice San Luca (2,9) cioè di fretta, così com’era andata Maria a trovare la cugina Elisabetta. Questa determinazione e questa fretta m’insegnano cos’è che conta davvero.
Ho vissuto dieci begli anni a Milano e ricordo che il verbo più usato era ed è: “scappare”. Devo “scappare”. Ma dove scappo? E da cosa scappo? Ecco: i pastori, i Magi e Maria mi fanno capire a cosa tende la fretta vera: cosa vale davvero la pena. Troppe volte sento il bisogno di correre o distrarmi o divertirmi: tutti verbi che alludono al distacco da ciò che ho intorno. Il Natale m’insegna a vedere la profondità delle cose, il significato a cui i fatti e le situazioni alludono. Il Bambino non è solo un bambino, i doni non sono oggetti: sono un riflesso del mio cuore; le luci sono quelle che devono illuminare la mia mente distratta.
Come osserva il Papa, anche la rappresentazione di scene di vita ordinaria nel presepe ricorda il divino nascosto nella mia vita di ogni giorno di cui mi devo accorgere. Soprattutto i presepi napoletani sono ricchi di osterie, mercanzie, scene di vita campagnola, uomini che giocano a carte, massaie dentro le case che sbrigano faccende, luci che fanno intravedere l’interno accuratissimo degli appartamenti, negozi sovrabbondanti di generi alimentari, ponticelli, cascate. Non sono un’evasione di ciò che avviene nella santa grotta ma indicano come la vita di tutti i giorni è contemporanea al divino, non gli è estranea. 
A loro volta i personaggi che circondano la Grotta sono una lezione per me. Non pensano a se stessi ma emettono radiazioni d’amore cominciando da Maria e Giuseppe. Persino il personaggio classico di Benino, il pastore che dorme, mi ricorda la mia incapacità di accorgermi della grandezza dei disegni di Dio e mi sollecita a svegliarmi.
Ben venga il Natale di un Dio deposto in una mangiatoia che chiede solo la mia attenzione.
Mi piace il Natale e “me piace ‘o presepe”.
Giorgio Del Lungo ha disegnato il bue e l’asinello che cantano “Silent Night”

domenica 8 dicembre 2019

Ricordi

In questo periodo sto incontrando alcuni amici e amiche d’infanzia o di gioventù. Mi rendo conto che la mia memoria, come capita a tutti, non è geometrica: gli episodi più lontani sono vicini mentre sbiadisce il ricordo di avvenimenti più recenti. A dire il vero non è soltanto uno scherzo della memoria ma sono i ricordi che coinvolgono il cuore ad avere la priorità. Mi ricordo lucidamente i momenti in cui era il cuore a essere in ballo …
Ora che vivo una vita di fede accomuno il ricordo di tanti giovani di allora in una specie di comunione dei santi. Voglio trasmettere a loro l’energia positiva della preghiera. Nello stesso tempo il cuore si intenerisce pensando alle tante chiacchierate e avventure passate insieme. Sento un debito di gratitudine verso di loro: un dovere di ricordarli davanti a Dio.
Come ho già scritto, recentemente al festival d’Autunno di Catanzaro, ho ascoltato Mogol che raccontava come erano nate le parole di alcune canzoni di Lucio Battisti. Ha spiegato che era innamorato con cuore da bambino di una piccola delle elementari dalle guance rosse e un anno in più d’età … poi la storia cresce con gli anni e vien fuori l’immagine di un mare che diventa nero a causa di una perdita di petrolio laddove prima si poteva scorgere anche un sassolino sul fondo. Poi il poeta si ferma a cantare l’angoscia per il destino della ragazza che si allontanava da lui con altre storie d’amore. L’incanto è per le immagini dei ricordi lontani:
Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi
Le tue calzette rosse
E l'innocenza sulle gote tue
Due arance ancor più rosse
Ma ti ricordi l'acqua verde e noi
Le rocce e il bianco fondo
Di che colore sono gli occhi tuoi?
Se me lo chiedi non rispondo
Oh mare nero, oh mare nero, oh mare ne
Tu eri chiaro e trasparente come me
Le biciclette abbandonate sopra il prato e poi
Noi due distesi all'ombra…
Ma ti ricordi le onde grandi e noi
Gli spruzzi e le tue risa…
Oh mare nero, oh mare nero, oh mare ne
Tu eri chiaro e trasparente come me
Il sole, quando sorge, sorge piano e poi
La luce si diffonde tutto intorno a noi
Le ombre di fantasmi della notte
Sono alberi e cespugli ancora in fiore
Sono gli occhi di una donna ancora pieni d'amore.
Tagliare i versi più erotici, come ho fatto, può sembrare uno sciocco moralismo ma nel mio cuore pesano maggiormente i momenti incantati dello stare insieme, nell’amore e nell’amicizia. Ricordo le avventure con un amico in Calabria, prima da bambini, poi da pescatori subacquei. Ora lui è in cielo e i suoi figli li sento miei. Oppure i sogni sul nostro futuro con un compagno di Napoli: tante ipotesi o progetti poi andati in tutt’altra maniera, con la Provvidenza che ha fatto da direttrice d’orchestra…

Penso all’aldilà. Come ci ritroveremo nell’aldilà? I teologi assicurano che non solo conserveremo la nostra identità ma anche il nostro corpo sarà sostenuto dall’anima a sua volta piena di Spirito Santo, tanto che assomiglierà al corpo glorioso di Cristo: un corpo con virtù particolari (passava attraverso le pareti e scompariva) ma un corpo vero, non quello di un fantasma, ha precisato Gesù. Ed è Cristo stesso che dipinge la vita eterna come un banchetto in cui si sta bene insieme e anche si beve il vino… “d'ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio” Matteo 26,29.
Mi commuove questa umanità di Gesù, niente spiritualismi, niente astrazioni. Si starà a tavola insieme proprio come nei momenti più felici di questa terra. Niente che avrà coinvolto il nostro cuore andrà perduto… alla felicità dell’amore si aggiungerà la ricchezza dei bei ricordi. Staremo con gli amici di sempre…


domenica 1 dicembre 2019

Catechismo

Non mi sono mai occupato di catechesi in senso stretto ma verifico che c’è differenza tra imparare nozioni teoriche su  Dio e coltivare un rapporto d’amore con Dio. Mi chiedo pertanto se non c’è da aggiungere qualcosa nel modo di trasmettere ai giovani la fede cristiana.
Ultimamente un maestro di scuola primaria statale mi ha raccontato un episodio che mi ha fatto pensare. Il maestro è un buon cattolico ma la direzione della scuola e l’ambiente generale gli proibiscono di dare ai bambini elementi di formazione cristiana. Per esempio, durante una gita scolastica, non gli è consentito di far recitare ai bambini le preghiere quando vanno a letto. Tempo fa, durante una gita, ha sentito un po’ di trambusto la sera nella stanza delle bambine. L’indomani ha chiesto a una di loro cosa fosse successo la sera precedente e la bambina più o meno gli ha risposto così: “con alcune amiche volevamo recitare le preghiere della sera ma non c’era un Crocifisso, allora mi sono ricordata che mio padre (un filippino) al momento della partenza mi ha infilato nello zaino una corona del rosario che porta attaccato un piccolo Crocifisso. Allora abbiamo messo la corona per terra e noi ci siamo inginocchiate tutte intorno e abbiamo recitato le preghiere.”
E’ un piccolo episodio che però fa comprendere l’importanza di avere un rapporto vivo con Dio nel proprio cuore, che può compensare l’assenza di un riferimento esteriore come il Crocifisso. Non mi trattengo sulla sciocca e pretestuosa motivazione di non ferire la sensibilità altrui con segni tangibili di devozione cristiana. E’ una stupidaggine che si commenta da sola. Invece mi preme sottolineare l’importanza della formazione del cuore al rapporto con Dio, come era il caso di quella bambina. Indubbiamente è utile conoscere il catechismo e molti di noi ricordano quelle formule brevi del Catechismo di San Pio X che rimangono nella memoria e danno chiarezza: ma non basta semplicemente conoscere quelle formulette. Anche i demoni conoscono la dottrina cristiana in modo sorprendente come riferiscono gli esorcisti. L’importante è che Gesù sia un amico, che nel mio cuore ci sia lo Spirito Santo e che mi renda conto che Dio è Padre e che è davvero onnipotente.
A me non è toccato di avere una formazione religiosa fin da fanciullo, eccezion fatta del momento della Prima Comunione. Solo a scuola mi è nata una tenera devozione per la Madonna rappresentata da un bel quadro posto accanto all’altare nella cappella dell’istituto. Ma vedo, nei figli piccoli dei miei amici cristiani, come fiorisce e come è creativa la devozione dei bambini. Come è noto spesso vengono fuori  dai fanciulli espressioni che ci lasciano allibiti. Ad esempio il figlio di un mio amico, quando aveva sei o sette anni, disse: “Ho capito! Dio sembra sempre che perde ma poi vince sempre”. Una sintesi di teologia della storia.
Per me essere contemplativo significa vivere con la sensibilità dei bambini per le cose di Dio. Non sono io che me lo invento: Gesù ripete tante volte nei Vangeli che il Regno dei Cieli è per chi diventa come un bambino. Pertanto quando si fa catechismo occorre raccontare storie che toccano il cuore, far vedere com’è bello pregare e ricorrere alla Provvidenza in ogni circostanza. Sono semi che forse rimarranno nascosti per anni ma che a un certo momento fioriranno e daranno frutti.
Per me quella scena delle bambine che pregano in circolo davanti alla corona del rosario è commovente e mi fa capire meglio come pormi davanti alla Divinità.