La
vena creativa di Papa Francesco ha plasmato un’altra immagine: quella della
medicina per la folla che gremiva piazza S. Pietro domenica scorsa. Il Papa ha
fatto il farmacista dell’anima e ha consigliato la medicina del Santo Rosario.
La scatolina mostrata dal Santo Padre conteneva una corona adatta anche per la
preghiera alla Divina Misericordia. Ecco una delle chiavi per comprendere la
costante allegria del nostro Papa. La devozione alla Madonna porta gioia. E
perché? Perché sì. L’invocazione a Maria come causa della nostra letizia è quanto mai appropriata. Sappiamo che Lei è Madre
nostra e conosciamo molti motivi teologici che giustificano questa verità ma è
l’esperienza che parla. Quando durante la giornata recito il Rosario e la sera
faccio l’esame di coscienza avverto un senso di allegria pensando che in quel
giorno sono riuscito a offrire quella preghiera alla Madonna. Se mi accorgo di
averla dimenticata ho un moto di tristezza e, se non è troppo tardi, la recito
a bassa voce. Il Papa ha ragione:
senza quella medicina l’anima non sta bene. Mi piace recitare il Rosario
pensando di avere accanto mia madre Maria e più passano gli anni più mi piace
dirlo lentamente gustando le parole. Ringrazio chi mi ha trasmesso questa
devozione che sa di antico ma è attualissima oggi quando non si sa dove abbiamo
messo il cuore. La Divina Misericordia poi è su misura di colei che ha convinto
Gesù a trasformare l’acqua in vino e può fare del mio cuore peccatore un cuore
per il Paradiso.
mercoledì 20 novembre 2013
martedì 19 novembre 2013
C'è un solo modo per salvare l'Europa
La
cultura dominante in Occidente sta soffocando l’Europa. I sintomi inquietanti
sono: ragazzi che si giocano l’esistenza con droga e alcol; giovani che non
possono sposarsi per l’impossibilità di metter su casa e famiglia; sempre più
matrimoni che non reggono, tra l’infelicità di grandi e piccoli. L’Europa
decresce e si avvia a scomparire dalla storia. Chi sono coloro che portano
vita, giovinezza e felicità? Quelli che vivono per servire e amare. Occorre
diventare come loro. I cristiani devono testimoniare con la propria vita, con
coraggio e senza complessi che a loro è stata data la chiave della felicità. La
creatura non può star bene senza il Creatore. Se il Creatore ha mandato il
Figlio suo è follia far finta che ciò non sia avvenuto. Basta con i cristiani
tiepidi che non sanno nemmeno se sono cristiani o no. Sono loro il peso che sta
affondando la barca. Devo afferrare la mano che Dio mi tende e crescere con ciò
che m’irrobustisce. Alla vita del corpo servono proteine, zuccheri e grassi.
Alla mia vita spirituale servono il cibo della Comunione, la dolcezza della
Confessione che facilita il rapporto con Dio, e la forza del Vangelo da leggere
ogni giorno. Se un giorno non ricevo la Comunione e non leggo un po’ di
Vangelo, se per due settimane non mi confesso, mi sento fragile, come per
un’osteoporosi dell’anima. Spero un giorno di arrivare a dire con San Paolo:
“non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me” (GaI. 2,20). Se incomincio
davvero da me l’Europa rifiorirà..
sabato 9 novembre 2013
In compagnia dei propri cari defunti
Un
mio amico ha perso la moglie dopo 60 anni di matrimonio. E’ una persona di fede
e non dubita che la moglie è in Dio ma è evidente che avverte il vuoto
dell’assenza. La verità della vita eterna è tra le più ostiche per quella
mentalità dominante di cui anche noi siamo impregnati. Per questo ho scritto un
libro sul Paradiso raccogliendo gli elementi di colore che il Vecchio e il
Nuovo testamento riportano in proposito. Mi sono accorto però che ho trascurato
un aspetto importante della vita eterna che è il rapporto tra i defunti e i
vivi. Fin dalla prima formulazione del credo si parlò della “comunione dei santi”: una verità dogmaticamente
definita ma esistenzialmente poco vissuta, o, almeno, così mi pare. La solidarietà
fra la chiesa trionfante, purgante e itinerante è chiara ma ho la sensazione
che non si viva in pratica sufficientemente questa verità. Sappiamo che Gesù ci
è vicino e che Maria, con i santi, è un punto di riferimento, ma i propri cari
defunti possono sembrarci distanti, fermi nelle loro tombe. Invece la fede ben
vissuta non è così. Il clima di famiglia proprio della Trinità, della famiglia
di Nazaret e che Gesù ha vissuto con gli apostoli, continua ad esserci fra i
cristiani vivi e dovrebbe esserci anche con i defunti. E’ un’esagerazione e un
peccato ricorrere alle sedute spiritiche per riascoltare la voce di un caro
defunto, mentre è un atto di fede vera non solo pregare per i defunti ma
sentirsi in loro compagnia, farsi aiutare e sorridere con loro.
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