venerdì 26 marzo 2021

Giovedì Santo 4

Non riesco a immaginare la mia vita senza la Santa Messa. E’ stato un avvicinamento graduale. All’inizio mi coinvolgeva la devozione con cui il sacerdote del centro dell’Opus Dei di Napoli la celebrava (don Michele Pelaez, che è ormai novantenne) e mi piaceva la corrispondenza di ragazzi della mia età che rispondevano utilizzando il messale. Ero liceale; ancora non c’era stata la riforma liturgica e nelle chiese la santa messa veniva seguita in modo approssimativo. Ricordo anche come per la prima volta seguii le cerimonie della Settimana Santa in una bella chiesetta di Napoli. Mi si apriva un mondo di consapevolezza e fin da allora il Giovedì Santo fece breccia nel mio animo. Che commozione contemplare Gesù commosso che fa mangiare il Suo Corpo e il Suo Sangue. Pensare che quella fu la prima Messa della storia e che da allora in poi si ripetono gli stessi gesti e le stesse parole. Mi spiegarono che il sacerdote nella consacrazione opera impersonando Gesù, dicendo le Sue parole. Quella frase storica mi veniva in mente “Senza la Messa non possiamo vivere”: in tempo di persecuzione non si esitava a correre il rischio del martirio pur di avere la Messa.

Nel Giovedì Santo c’è quella “prima volta” e non solo. Avere la possibilità di custodire Gesù nel tabernacolo delle chiese è un beneficio grande. Posso andare a parlarGli più direttamente e rinnovare la mia fede nella Sua presenza reale. Tutte queste fortune si realizzano nel primo Giovedì Santo. I giorni successivi sono pieni di accadimenti: la Passione del venerdì e la Risurrezione della domenica. Tutti fatti preannunciati nel Giovedì Santo e contemplati nel loro significato. Se non pensassi questo sarei proprio un ingrato.




mercoledì 24 marzo 2021

Giovedì Santo 3

 

Durante l’ultima cena del giovedì santo Gesù fa un discorso memorabile che San Giovanni trascrive dal suo cuore dove è rimasto impresso. Gesù annuncia una novità: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Giovanni 13). Già uno scriba aveva lodato Gesù che aveva affermato che il primo dei comandamenti era amare Dio e il prossimo come se stessi (Marco 12). Ma qui Gesù annuncia una novità, “la” novità: amare come lui ha amato perché “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15). L’amore più grande: dare la vita. Questa è la strada per la Risurrezione. L’amore si dimostra più forte della morte nella risurrezione di Cristo.

Nell’essere uomini è inscritto il destino della morte: siamo mortali. Ma nel cuore dell’uomo abita il desiderio di eternità. Dio si è fatto uomo e perciò muore. Nella Risurrezione l’essere uomo non viene cancellato: Gesù assume la sua umanità nella divinità. Gesù resta uomo ma l’umanità è stata trasformata dalla divinità. Così cominciamo a capire che anche noi risorgeremo. Seguendo Gesù anche la nostra umanità rivivrà. Non come Lazzaro che poi morì di nuovo. Il nostro essere uomini sarà potenziato dallo Spirito Santo. Anima e corpo saranno uniti ma con una divinizzazione dell’anima che comporta la spiritualizzazione del corpo: corpo glorioso non corpo umano e basta. Nella novità dell’amore più forte della morte c’è la Trinità che trasformerà il nostro corpo.

Capire la nostra risurrezione è al di là delle nostre capacità ma Gesù ci indica una strada che sarà confermata dalla sua Risurrezione. La Risurrezione di Gesù è il fondamento della fede cristiana e nel giovedì santo il comandamento nuovo dell’amore ne è la chiave. L’amore che dà la vita e che restituisce la vita per l’eternità.

 



 

lunedì 22 marzo 2021

Giovedì Santo 2


 Ritorno sul giovedì santo che mi sollecita a riflettere su due punti. Il primo è il grande mistero della sofferenza. Dio stesso si sottopone alla condizione umana. Lavora per trent’anni, si affatica nella predicazione e soffre una morte dolorosa. Gesù è un apristrada. Ci fa capire, senza ombra di dubbio, che per giungere alla vita eterna felice occorre passare per il cammino della croce. Viene rifiutata la logica umana della ricerca del successo e viene indicata la strada dell’accettazione totale dei dolori della vita dandogli il senso di unione alle sofferenze di Gesù. 

E qui arrivo all’altro punto. Dio stesso si dà da mangiare e da bere. La strada dell’amore comporta il dono di sé fino all’immolazione. Dio si dà del tutto e ci invita a seguire il Suo esempio. Tutta la storia del cristianesimo è costellata di santi che hanno compiuto questo percorso. Dai primi martiri fino ai grandi Agostino, Benedetto, Tommaso, Francesco, Domenico, Caterina, … che giungono fino ai nostri giorni. Persone che hanno chiaro il messaggio di Gesù e ripercorrono la Sua strada con percorsi diversi ma sostanzialmente identici: il dono di sé.

La conseguenza per me è che devo prendere sul serio la frase di Gesù: il mio cibo è fare la volontà del Padre mio (Giovanni 4). Basta col considerare felice il cammino delle soddisfazioni: la vera felicità è fare ciò che Dio vuole. Perciò San Giuseppe è un uomo felice e non è un poveretto a cui capitano mille fregature. Giuseppe esegue la volontà di Dio e il fatto che non arrivi fino a noi nemmeno una sua parola non è un indice negativo. E’ un indice positivo: non c’è bisogno che io aggiunga nulla. La mia felicità è eseguire ciò che Dio mi chiede. Resta chiaro che il Signore non è un dittatore ma dà la Sua vita per me e mi insegna a vivere. Davvero ho un Padre nel cielo che mi sorveglia e mi aspetta.

Il valore della sofferenza e il dono di sé sono il messaggio del giovedì santo. Gesù, dopo averci dato il Suo corpo e il sangue, esce nella notte per andare incontro al Suo destino. A me tocca seguirlo restando sveglio, meditando e pregando.

sabato 20 marzo 2021

Il Giovedì Santo

 Il giorno dell’anno per me più coinvolgente è il Giovedì Santo. Lo è stato anche per Gesù che dice: “Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum”. Ho desiderato con desiderio di mangiare questa Pasqua con voi (letteralmente). Questa ripetizione mi commuove: mi fa sentire il battito del cuore di Gesù che ha consapevolezza del momento che sta per vivere: l’ho desiderato con desiderio, afferma. 

Nel giovedì santo c’è tutto. C’è l’amore di Dio che giunge a lavarci i piedi. San Giovanni racconta che Gesù “si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto… - e alla fine disse - Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Tutta la civiltà occidentale passa da qui. Se non si fosse manifestato in Gesù l’amore di Dio e l’obbligo dell’amore reciproco, l’Occidente, con tutti i suoi difetti, non sarebbe stato come lo conosciamo ma un succedersi di sopraffazioni di un popolo sull’altro, come era stato in precedenza.

Nel Giovedì santo viene istituito il sacerdozio cristiano e il sacramento dell’Eucarestia accompagnato da un discorso infiammato d’amore che San Giovanni ci ha trasmesso nel suo vangelo. Si prefigura la prossima morte di Gesù e la Sua Risurrezione per rimanere sempre con noi soprattutto nella santa messa e nei tabernacoli. Infine Gesù esce nella notte per andare incontro al Suo destino e noi possiamo accompagnarlo nella preghiera davanti ai monumenti, detti comunemente sepolcri, così radicati nella devozione popolare. Lì possiamo pregare in silenzio tenendogli compagnia, cercando di non lasciarlo solo come gli apostoli che si addormentano.

Sono ore di una devozione indicibile, di vero ringraziamento a Dio.

 

 


domenica 14 marzo 2021

Essere bambini

 Essere bambini davanti a Dio. I teologi definiscono quest’atteggiamento “infanzia spirituale” e quasi tutti i santi l’hanno assunto. C’è un perché. Non si tratta di una maniera vezzosa di rivolgersi a Dio ma identificarsi con Gesù, il Figlio, e un figlio è sempre piccolo davanti a suo padre. Anche James Bond o Sandokan davanti al proprio padre non possono assumere atteggiamenti da eroi, farebbero solo ridere. Di fronte al proprio padre e alla madre si è sempre piccoli anche se non si “bambineggia” più.

Credo che questo sia il motivo di fondo delle parole di Gesù: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.” (Matteo 18). Diventare come bambini non è un optional: è necessario per entrare nel regno dei cieli, dice Gesù, che chiama il Padre “papà”, Abbà. 

Siamo figli piccoli di Dio. Il bambino sa di non essere autonomo, che dipende dai genitori, e non si irrita per questo: lo trova naturale. Per il bambino è spontaneo sentirsi figlio. Identificarsi con Gesù significa identificarsi col Figlio sentendosi dipendenti dal Padre e desiderosi di fare la Sua volontà.

Se il bambino combina un guaio, piange e si fa consolare proprio da chi dovrebbe rimproverarlo. Così fa il cristiano, consapevole che la bontà di Dio ha braccia ospitali.

Allo stesso modo il bambino cerca la madre sapendo che in lei, in Maria, trova comprensione e perfino complicità. 

Il bambino è amico di tutti e non soffre di pregiudizi. Tutti, se vogliono, diventano amici suoi. 

Se subisce una contrarietà piange ma presto torna a sorridere se chi lo consola gli sorride; 

il bambino sa di non essere bravo e non si affligge se non riesce a fare qualcosa ma chiede aiuto e riprova.

Il bambino accetta le verità di fede senza spirito critico, sa meravigliarsi: non a caso i bambini ci sorprendono quando fanno i “teologi”.

Il bambino non perde la speranza di poter migliorare, trova logico che ogni giorno può fare di più e meglio.

Il bambino cerca ciò di cui ha desiderio ma non possiede nulla. E’ “povero” nel senso che tutto è di suo padre e come povero merita il Regno di Dio (Luca 6).

“Essere piccolo: le grandi audacie sono sempre dei bambini. —Chi chiede... la luna? —Chi non si ferma davanti ai pericoli per realizzare il suo desiderio?
“Mettete” in un bambino “così” molta grazia di Dio, il desiderio di fare la sua Volontà (di Dio), molto amore per Gesù, tutta la scienza umana che le sue capacità gli permettono di acquistare... e avrete il ritratto del carattere degli apostoli d'oggi, così come senza dubbio li vuole Dio.” San Josemaría Cammino 857. Il bambino non sta a prevedere le contrarietà, procede e basta…

Mi conviene “convertirmi” in un bambino…

giovedì 11 marzo 2021

San Giuseppe

 

Quest’anno la Quaresima capita in un periodo in cui, su invito di Papa Francesco, meditiamo sulla figura di San Giuseppe.

La quaresima ricorda i 40 giorni nel deserto di Gesù in cui si prepara alla vita pubblica, con la preghiera e le ferme risposte alle tentazioni di Satana.

La figura di Giuseppe è ben illustrata dal Santo Padre. Vediamo Giuseppe che vien fuori dal cliché di colui che ha subìto tante contrarietà, anche se compensate da altrettante gioie: il poveretto sposa una donna meravigliosa e scopre che è votata allo Spirito Santo, vorrebbe proteggere il bambino e gli capita una stalla come nursery, vorrebbe avere un po’ di pace e deve scappare in Egitto e rifarsi una vita, per poi andare a Nazaret, cittadina conosciuta perché da lì non può venire nulla di buono. Deve assistere alla profezia di  Simeone che preannuncia a Maria un cuore trafitto da una spada di sette tagli e si angoscia nella ricerca di Gesù che sta fra i dottori. Maria stessa dice “Tuo padre e io ti cercavamo…” E’ Lei a citare Giuseppe che in tutto il Vangelo non dice una parola: riceve ed esegue indicazioni avute in sogno…

Sembra che una figura così susciti più compassione che ammirazione e invece non è così. Io sono figlio di un’epoca in cui è considerato fortunato chi realizza i propri sogni: i sogni che fa lui, non i sogni in cui gli angeli danno indicazioni. Nella mia mentalità c’è una radicale resistenza all’idea che il mio cibo è fare la volontà del Padre (Giovanni 4) come dice Gesù. Sono stato allevato con la mentalità di chi, ogni tanto, rivolge un grazioso pensiero a Dio e poi, per il resto, si aspetta che Dio lo aiuti a realizzare la propria volontà.

Giuseppe sta a significare il contrario: che l’uomo felice (felice!) è quello che vive secondo la volontà di Dio e sa che ha ricevuto da Dio una missione da compiere e che riuscirà a compierla solo col Suo aiuto. Un uomo così è in continua sintonia con Dio e la sua preghiera è pregnante e interessante.

Non faccio un favore a Dio quando vado a Messa anche in un giorno feriale o recito il Rosario. E’ Dio che lo fa a me perché mi ha chiamato con la vocazione cristiana. Tutti gli attimi della mia vita acquistano sapore e interesse quando sono proteso a realizzare ciò che Dio vuole, nello scenario della famiglia, del lavoro e della vita quotidiana. Se penso ai “fatti miei” la vita è angosciata, se il mio cibo è fare la volontà di Dio la vita è saporita.

Giuseppe non è un poveretto che ha dovuto sopportare tante contrarietà: Giuseppe è l’uomo forte e felice che realizza la volontà di Dio e muore sereno con Gesù e con Maria.

 

 


lunedì 1 marzo 2021

Saper voler bene

 

 


Vorrei pregare meglio. Ultimamente mi limito soprattutto a chiedere che Gesù entri dentro di me nella direzione indicata da San Paolo: “ non vivo più io, ma Cristo vive in me.” (Galati 2). Recentemente mi sono imbattuto in un noto brano del vangelo di Matteo: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce, darà una serpe? Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!”. San Luca nel suo vangelo ripete le stesse parole ma nel finale c’è una variante: “quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!”. Non si promettono più le “cose buone” ma “lo Spirito Santo”. Il senso è lo stesso: la cosa più buona che possiamo desiderare è ricevere dentro di noi lo Spirito Santo, che è equivalente alla presenza di Gesù.

Nell’esercitazione pratica di preghiera che Gesù fa fare agli apostoli e a noi, cioè nella recita del Padre Nostro, siamo invitati a fare tre richieste che sono equivalenti (Venga il tuo regno, sia santificato il Tuo Nome, sia fatta la Tua Volontà). Resta chiaro che dobbiamo volere le stesse cose che Dio vuole e questo è il primo punto.

 Poi chiediamo il nostro sostentamento, che include le richieste pratiche che ci stanno a cuore. Poi chiediamo perdono con la misura della nostra capacità di perdonare: una misura che fa pensare e tremare. Infine chiediamo di non essere abbandonati nel momento della tentazione. La tentazione è sempre la stessa: metterci contro la volontà di Dio in un modo o nell’altro.

 In fin dei conti chiediamo di sopravvivere (il pane quotidiano) e di vivere secondo lo stile misericordioso di Dio (rimetti i nostri debiti come…). Gesù lo precisa in altra occasione: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Luca 6). In altre parole a Dio importa che sopravviviamo ma soprattutto vuole che sappiamo perdonare e voler bene. Certo: essere onesti, casti e così via… ma se non sappiamo voler bene non ci siamo.

Ora io mi chiedo: è chiara ai cristiani questa priorità? Ho l’impressione di no. I catechisti insegnano a perdonare, a identificarmi con Gesù, a chiedere lo Spirito Santo, a volere la volontà del Padre? Si e no. Mi pare che devo cominciare da me stesso, da Gesù in me… Mi chiedo se sulla mia tomba si potrà scrivere: “qui giace un uomo che sapeva voler bene”. Come sarebbe bello…