lunedì 31 marzo 2014

E' tempo di GMG non di Woodstock


Sono tornato ad occuparmi della formazione alla fede per studenti universitari e liceali: attività che ho sempre tenuto d’occhio ma che mi ha visto particolarmente impegnato negli anni ’70. Noto una differenza fra i giovani d’allora e quelli di adesso. In quegli anni lontani (e ancora così vicini) per i giovani vigeva l’obbligo di contestare il mondo degli adulti: non era ammissibile che un adulto dicesse qualcosa e un giovane in qualche modo non lo contestasse. C’era un clima di rinnovamento generale. Il mondo del passato andava superato e la fantasia doveva andare al potere. C’era quasi una lotta di classe fra giovani e adulti. Per far passare il messaggio cristiano bisognava metterne in luce il lato perennemente rivoluzionario. Oggi no. I giovani sono in continua richiesta di una guida da parte degli adulti o, meglio, sono alla ricerca di adulti che abbiano qualcosa da insegnare. Nel film La notte prima degli esami (2006) il professore rivela all’allievo la sua nostalgia di Woodstock (1969) e gli chiede un po’ di droga. E’ la scena più schifosa vista negli ultimi anni. Il professore ha un’autorità di facciata ma è più sbandato dell’allievo. E’ il tradimento del padre. Oggi non ci sono più le Woodstock ma le Giornate Mondiali della Gioventù con adunate più numerose degli hippies di allora. Ora non ci sono difficoltà pregiudiziali per avviare i giovani alla fede. I ragazzi chiedono solo un esempio e una testimonianza. Devo solo non deluderli e dedicarmi davvero a loro… 



mercoledì 26 marzo 2014

Wojtyla e i giovani

 
Santo subito

Quattro puntate di RaiDue e RaiVaticano attraversano gli ultimi tre pontificati nell’imminenza della canonizzazione di Giovanni Paolo II. La prima trasmissione è sabato 29 marzo alle 8.15 del mattino

I giovani di allora sono i testimoni di adesso. Alla vigilia delle canonizzazioni di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII quattro puntate ripercorrono il cammino che parte dall’elezione di Papa Wojtyla e continua col pontificato di Papa Bergoglio. Con la supervisione di Massimo Milone e Stefano Rizzelli e la consulenza di Giuseppe Corigliano, Costanza Miriano racconta la nascita delle giornate mondiali della gioventù avvalendosi della testimonianza di Gioacchino Navarro, portavoce del Papa polacco, e dell’amico di Wojtyla Stanislaw Grygiel. Il punto di partenza è rappresentato dall’incontro Di Giovanni Paolo II con i giovani dell’Univ che mostrano come il Papa amasse dialogare e stare con i giovani. Da quegli incontri e dalle prime celebrazioni con i giovani della diocesi di Roma Papa Wojtyla fu “trascinato”, come diceva lui scherzosamente, alle Giornate Mondiali della Gioventù. Navarro Valls osserva che i giovani erano attratti non solo dalla capacità comunicativa del Papa ma dal fatto che diceva loro la verità. Secondo Grygiel la sua pastorale fin dall’inizio fu molto semplice: “Lui prima di tutto stava con noi, era presente nella nostra vita, nelle nostre gioie, nelle nostre difficoltà”. Pierluigi Bartolomei racconta come il Papa capì che era un romano che si era infilato in un gruppo di cantanti messicani per poterlo salutare: da quel primo incontro, tutta la sua vita portò l’impronta di Giovanni Paolo II. Così testimonia una madre di sette figli e un sacerdote, ora portavoce della diocesi di Roma, Walter Insero che decise di diventare sacerdote durante la GMG di Denver. Nelle quattro puntate, montate da Pierluigi Lodi, le immagini e gli eventi più significativi dei tre ultimi pontificati che hanno coinvolto i giovani in modo unico nella storia.

venerdì 21 marzo 2014

Karol


Sto collaborando a quattro trasmissioni su Giovanni Paolo II per RaiDue. In sala di montaggio dò spettacolo mio malgrado. Appena appare Wojtyla sento un’emozione particolare e dopo qualche minuto mi scendono lacrime irrefrenabili. Una collaboratrice provvede a un mazzetto di fazzoletti di carta. Giovanni Paolo II è stato un dono di Dio ed è anche un pezzo della vita di ciascuno di noi: a lui sono legati ricordi, conversioni, aperture della mente e spettacoli della fede che hanno lasciato un segno duraturo. Fin dall’inaugurazione del Pontificato, in quell’ottobre del ’78, percepimmo che stava iniziando un capovolgimento. La Chiesa sembrava assediata culturalmente, spiritualmente e anche politicamente ed ecco che il capo degli assediati gridava con voce potente, non ai suoi ma agli assedianti: “non abbiate paura! Spalancate le porte a Cristo!”. Un vero contrattacco, una marcia che non è finita più, fino a quando il grande campione, il caro Papa, con l’ultimo respiro ha smesso di insegnarci come si vive e come si muore. Prima di lui la cultura dominante ancora offriva illusioni (basti pensare al mito del marxismo e del ’68). Dopo di lui son caduti i falsi idoli. Il capitalismo selvaggio, l’individualismo incapace d’amare, la sfrenatezza sessuale, il disprezzo della vita ora mostrano il loro volto effimero e malvagio. Le folle di giovani mobilitate da lui continuano a seguire i suoi successori con l’entusiasmo dell’amore. Grazie Signore per averci dato  Karol!

giovedì 13 marzo 2014

Solo Dio può dire per sempre


Sul Foglio del 6 marzo Costanza Miriano scrive un articolo sul tema della famiglia, oggetto del prossimo sinodo dei vescovi. Riporto alcuni passi: “Il paradosso dell'amore è che due infiniti bisogni di essere amati si incontrano con due limitate capacità di amare. Sono domande che solo a partire dal '900 sono diventate di massa in Occidente, dove si è affermata la visione romantica dell'amore, quell'amore ideale ed emotivo che non resiste all'impatto con il reale, e che vive solo…nell'attesa mai compiuta del congiungimento (che è esattamente il motivo per cui i film finiscono al bacio finale, tendina, the end, disperazione della spettatrice che non sa mai come vivranno insieme lui e lei, se saranno felici, quanti figli avranno, mai, in nessuno dei film caposaldo dell'educazione sentimentale delle fanciulle: Cenerentola, Harry ti presento Sally, Cime tempestose, Pretty Woman e via baciando)”. “A me interessa che la Chiesa m’insegni che il cuore va educato, e che mi ricordi che l'uomo da solo non è buono, non è capace di amare, che solo Dio con la sua tenerezza infinita per l'uomo può dire per sempre, che ci si sposa in tre, io, lui e Dio, e che la fedeltà è una lotta, è non smettere di lavorare sul matrimonio, è ricondurre ogni sera lo sguardo, a volte è anche come mordere un sasso…”. E conclude: “l’amore è molto più a forma di croce che non di cuore. Di questo annuncio il mondo ha un bisogno disperato”. In sintesi: soltanto se si è di Cristo si capisce il matrimonio cristiano.

sabato 8 marzo 2014

Un amore che è molto più a forma di croce che non di cuore... di Costanza Miriano

 
Credo che sia ormai ufficiale: non sarò mai una vaticanista. Ci sono realtà con cui uno deve fare i conti. Eppure era il mio sogno. D’altra parte anche atletica leggera l’ ho cominciata perché ero innamorata di Sara Simeoni, ma poi ho scoperto che l’asticella mi metteva l’ansia e mi tuffavo sul tappetone passandoci sotto. In compenso ero bravissima nel riscaldamento (ho ripiegato sul mezzofondo).
Volevo fare la vaticanista, ma sono troppo figlia della Chiesa per essere in grado di leggerne in filigrana movimenti interni, fila politiche, correnti. Aspetto con abbandono filiale le sue decisioni, e mi godo enormemente il privilegio di avere una madre tanto esperta, intelligente, prudente. Credo che la Chiesa raccolga le migliori intelligenze del nostro tempo, credo che credere affini il logos e scolpisca come con uno scalpello l’intelligenza dell’uomo.
Non ho paura del sinodo, so che è un cammino. So che ha sempre avuto questo metodo di lavoro – partire dalle istanze del reale per rispondere. So che i questionari si sono sempre fatti, i lineamenta sono le domande preliminari, non le risposte. Quello che è cambiato in questo caso è semmai la pubblicità e la risonanza, di cui forse non è sempre consapevole, paradossalmente, il Papa comunicatore, quello della copertina di Time.
La Chiesa non cambierà assolutamente la dottrina sulla indissolubilità del matrimonio, questo nessuno lo mette seriamente in dubbio e questa è senz'altro la cosa più importante. Che poi si affronti il problema di chi ha sbagliato non mi disturba, se rimane chiaro il fatto che ha sbagliato, perché non si affievolisca la lotta di chi sta combattendo, a volte anche a costo di enormi fatiche.
Il reale interpella la Chiesa. C'è stato un tempo in cui un forte esoscheletro conteneva i cuori e le passioni delle persone, che si mantenevano fedeli al loro posto in famiglia non per chissà quale trasporto e adesione, ma perché la pressione sociale non lasciava molta scelta, e anche perché non ci si aspettava che il matrimonio colmasse tutti i desideri infiniti del cuore umano. Perché il paradosso dell'amore, come dice Rilke, è che due infiniti bisogni di essere amati si incontrano con due limitate capacità di amare. Sono domande che solo a partire dal '900 sono diventate di massa in Occidente, dove si è affermata la visione romantica dell'amore, quell'amore ideale ed emotivo che non resiste all'impatto con il reale, e che vive solo nell'impedimento, nell'ostacolo, nell'attesa mai compiuta del congiungimento (che è esattamente il motivo per cui i film finiscono al bacio finale, tendina, the end, disperazione della spettatrice che non sa mai come vivranno insieme lui e lei, se saranno felici, quanti figli avranno, mai, in nessuno dei film caposaldo dell'educazione sentimentale delle fanciulle: Cenerentola, Harry ti presento Sally, Cime tempestose, Pretty Woman e via baciando).
A me interessa che la Chiesa mi dica qualcosa sull'amore, mi aiuti a decifrare il cuore, questa cosa misteriosa e imprevedibile da cui esce, come dice il Vangelo, ciò che contamina l'uomo, le cattive intenzioni che portano al male, e che non è quella cosa rossa e luccicante da marketing. A me interessa che la Chiesa mi insegni che il cuore va educato, e che mi ricordi che l'uomo da solo non è buono, non è capace di amare, che solo Dio con la sua tenerezza infinita per l'uomo può dire per sempre, che ci si sposa in tre, io, lui e Dio, e che la fedeltà è una lotta, è non smettere di lavorare sul matrimonio, è ricondurre ogni sera lo sguardo, a volte è anche come mordere un sasso, o come dice la mia amica Paola, come pestare un Lego a piedi nudi. È un giudizio, alla fine, l'amore è un giudizio e non solo un sentimento, e, definitivamente, un comandamento.
Queste cose a me le hanno dette solo uomini e donne di Chiesa, vivi o morti, cioè vivissimi: è nel depositum fidei che ho cercato la verità su me stessa, ed ho trovato qualcosa che ne avesse il profumo. Di questo davvero l'uomo contemporaneo ha un bisogno disperato: qualcuno che gli dica chi è, e cioè una creatura, maschio o femmina, feconda nella differenza, ferita dal peccato originale, e quindi con un bug nel suo software, un difetto di funzionamento all'origine. Questa è la missione della Chiesa, che davvero, davvero è madre, ed è rimasta l’unica, in questo mondo liquido, coriandolare, nebulizzato, a svelare all'uomo il suo vero volto, a educarlo, a dirgli “tu non sei capace da solo di amare, tutto il bene viene da Dio, chiedilo a lui, e non fidarti solo di te stesso, perché il primo comandamento è esattamente l'opposto, Shemà, Israel”.
Se in un mondo che dice esattamente il contrario – tutta la produzione pseudoculturale del secolo del benessere non è che un invito a “seguire il tuo cuore” (la mia nonna non si chiedeva come realizzarsi ma come sopravvivere, nel senso proprio della sussistenza), un'esaltazione dell'emozione à la carte, una perlustrazione delle altre vite possibili, un chiedersi cosa succederebbe uscendo alla prossima apertura delle sliding doors – se in un mondo che ha anche, dal '900, abolito il principio di autorità e dato cittadinanza all'inconscio, che Freud ha prima scoperto e poi sdoganato, se in un mondo così, dove tanta gente, la stragrande maggioranza, si è persa, e ha storie d'amore sballate, la Chiesa si chiede come riacchiapparla, bene, questo non mi scandalizza. Anzi, mi richiama alla necessità della mia conversione, perché non dimentichi la sollecitudine per nessuno.
Non mi disturba che la Chiesa cerchi di capire come farsi vicina a chi si è perso. Credo fermamente che lo Spirito Santo non abbia smesso di agire nella storia, e credo che farà nuove tutte le cose, perché lo Spirito non ha forma, si adatta e rinnova dal profondo. Credo che Cristo sia sposato indissolubilmente con la sua sposa, la Chiesa, e non le sarà infedele, perciò non permetterà che si perda.
Sono certa che i nostri padri, i vescovi, sapranno trovare una via per esprimere vicinanza ai divorziati risposati, una via senza scorciatoie clericali, una via fatta di accoglienza e di accompagnamento personale, una fatica e una strada fatta impolverando le scarpe: il nostro padre Maurizio Botta alla Chiesa Nuova chiama tutti per nome, alla messa della domenica, tutti si sentono suoi, e di coppie divorziate, conviventi, di ogni tipo, coppie che fanno solo la comunione spirituale lui ne accoglie tantissime, senza sconti sulla verità, ma con le braccia e il cuore spalancato e una talare morbida su cui appoggiarsi. Questo è dare accoglienza senza scandalizzare i piccoli, le famiglie che si sforzano di essere fedeli alla loro chiamata, non tanto per difendere il privilegio del fratello maggiore che si crede giusto, quanto per continuare ad annunciare la verità sull'amore, un amore che è molto più a forma di croce che non di cuore. Di questo annuncio il mondo ha un bisogno disperato.

Dal Foglio del 6 marzo 2014



venerdì 7 marzo 2014

Il filo rosso


L’artista Paola Grossi Gondi inaugura in questi giorni un’opera permanente presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Nell’enorme ingresso dell’edificio un consistente filo rosso parte dal lucernario penetra nella parete, fuoriesce in un altro punto, s’affonda nel pavimento, riemerge, volteggia e scompare ancora nel muro. L’opera ingentilisce la maestosità dell’edificio magniloquente e attiva la fantasia. Viene presentata allo spettatore come l’ispirazione artistica che viene dall’alto. Conoscendo l’artista so che c’è di più. C’è la luce del lucernario e da questa procede il filo che si cuce nella nostra umanità con il rosso dello spirito. C’è la Trinità che penetra nella vita dell’uomo e la trasforma. Quest’opera mi fa meditare. Non sono stato educato al rapporto con Dio Creatore che s’incarna e ci assiste col suo Spirito. La consapevolezza di essere figlio amato da Dio è una conquista continua che i santi mi aiutano a compiere. “Tu mi dici: non vorrei essere assorbito dalle cose mondane e io ti rispondo che siamo noi che le rendiamo mondane perché tutto procede dalla bontà divina” diceva Santa Caterina: una frase che mi ripeto ogni giorno e che il filo rosso raffigura. Siamo in un’epoca folle che vuole staccare la creatura dal creatore ma la natura umana si ribella e attraverso l’arte torna a dire che c’è un mistero d’amore nell’universo. Dio viene da me e mi parla col mio linguaggio malgrado la resistenza delle mie pareti. Dio mi accetta perfino come sono.