domenica 29 novembre 2015

Una recensione in dono. Da Sonia Vazzano

 
La bellezza è per entusiasmare al lavoro,
il lavoro è per risorgere

Cyprian Norwid, Promethidion: Bogumil vv. 185-186
Pisma wybrane, Warszawa 1968, vol. 2, p. 216




Ai nostri maestri


Questa recensione è un po’ particolare. E forse serve più a chi la scrive che non a chi il libro l’ha scritto. Ma l’intento vero è che serva comunque a chi ancora non l’ha letto (e che ci auguriamo continui nella lettura, o la intraprenda sul serio, anche dopo queste righe).

Pippo Corigliano è un amico e in genere degli amici amo parlare poco, e meno scriverne per un pubblico ampio, perché l’amicizia se la cominci a “svelare” poi non riesci a trattenerla più. E allora ti rimane sempre un po’ la paura di condividere troppo qualcosa che in fondo è un po’ solo per te. E se decidi di farlo, è perché c’è qualcosa di più nell’amico che senti di dover condividere.
E allora non dirò di Pippo e di questa sua ultima “fatica”, ma parlerò di maestri e di relazione, che, a mio avviso, sono i due cardini attorno ai quali ruotano queste sue pagine (Siamo in missione per conto di Dio. La santificazione del lavoro, pp. 140, Mondadori 2015).

La santificazione del lavoro, nel lavoro e degli altri con il lavoro – che Pippo Corigliano ha imparato da san Josemaría e nella vocazione all’Opus Dei – è la convinzione che non è difficile trasformare il lavoro in un dialogo di preghiera (cfr. Amici di Dio, Lavoro di Dio, pt. 67). E che nella barca di ciascuno di noi con naturalezza entra… il Maestro (cfr. Amici di Dio, Grandezza della vita quotidiana, pt. 21). Sì, proprio il Maestro, e i maestri…

Un adagio talmudico recita che «Il mondo sta in piedi solo per il respiro degli studenti» (Resh Laqish in nome di Yehudah Hanassi, bShabbat 119b). Ieri nella presentazione del libro di Pippo, ho capito che tale respiro è alimentato da passione, meraviglia e sorriso. E poi da legame, conoscenza e disposizione.
Pippo ha presentato (sì, proprio lui, e già questo la dice lunga sull’autore di queste pagine) con queste caratteristiche i suoi maestri. Quelli che riconosci e scegli come tali. Quelli che ti insegnano cose che non stanno sui libri. Quelli che ti trasmettono l’essere del maestro. Quelli che ti ricordano sempre la tua missione più grande: forse quella che non conosci ancora e che magari neanche loro conoscono, ma che di certo ti aiutano a scoprire.

I maestri di cui parla Pippo in questo libro sono tanti. Io oggi volevo ricordare quelli che a noi Pippo ha presentato ieri. E lasciare ai lettori la scoperta di tutti gli altri. Perché è inutile dire che è proprio bello avere tanti maestri così!

Alla sua destra Ettore Bernabei: la personificazione della passione. Chissà cosa ha significato per i suoi figli, per i suoi nipoti, per i suoi amici un uomo così? Bernabei “apre” il libro di Pippo e sembra in qualche modo accompagnarlo fino alla fine, con una narrazione che è frutto di un impegno di vita in cui il lavoro è la passione dominante, quella del perseverare con lo slancio del lavoro incominciato con passione umana e soprannaturale (cfr. Amici di Dio, Lavoro di Dio, pt. 63). Ora capisco perché Bernabei è stato un maestro per Pippo nella santificazione del lavoro: nella sua incessante missione di comunicarne la passione! Una passione che lega e che crea legami.

Accanto a Bernabei, l’unica donna della serata, e chiedere che fosse un’artista è stato veramente chiedere il massimo. Di Paola Grossi Gondi mi resta nel cuore la meraviglia. E se meravigliarsi fosse preghiera? Un inno a Dio per quello che dà all’uomo cui non si può rispondere con altro se non con la propria meraviglia? L’artista, ormai conosciuta soprattutto per una delle sue ultime opere Il filo rosso della Galleria Nazionale d’arte Moderna di Roma, ci racconta con semplicità i suoi occhi meravigliati sul mondo e sulle cose, che poi si traducono in gesti d’amore nei confronti di chi il Maestro per eccellenza decide di mettere sul nostro cammino. Come Bernabei è maestro di passione, Paola è maestra di meraviglia: di un lavoro ben fatto in cui si scopre che la santificazione nasce dalle piccole cose, tratti infiniti di un disegno in cui l’Artista guida la nostra mano e viene a cercarci proprio là, nell’esercizio della nostra professione (cfr. Cammino, pt. 799). Laddove la meraviglia e la ricerca della bellezza si fanno conoscenza.

E alla sinistra di Pippo c’è Pierluigi Bartolomei, testimonianza chiara e semplice di ciò che rende santo il lavoro di ogni giorno: il sorriso. Il sorriso di chi riesce a mantenerlo nonostante ciò che vede. Di chi continua a sorridere se anche nel percorso la tristezza rischia a volte di prendere il sopravvento. Di un padre e di un marito che prima di mettersi a lavorare ogni giorno, si ricorda della propria mission nel mondo: l’allegria di chi si sente figlio di Dio. E di chi lavora con le mani, di chi pianta alberi, di chi mette le ultime pietre (cfr. Cammino, pt. 42). Bartolomei è il volto della santità che sorride nonostante le difficoltà, in una professione che spesso forgia il cuore squarciato di fronte agli occhi che guardano la realtà difficile di tutti i giorni. Del cuore che si fa disposizione.

Tre testimonianze – di passione, di meraviglia e di sorriso – che raccontano chi sono i veri maestri di Pippo. Sono uomini e donne di relazione – di legame, conoscenza, disposizione – che spesso non vivono sotto i riflettori, che vanno piano mentre il mondo va veloce, che rimangono poveri perché hanno capito di aver bisogno di Dio. Che riconoscono come nulla accada a caso e che ogni persona che ci passa accanto è un miracolo da scoprire, con quello che abbiamo, che siamo e che desideriamo.

I santi sono un po’ dei supereroi? La missione di cui parla Pippo è impossibile oggi per tutti gli uomini? Forse un po’, e forse ci piace pensare che se proviamo ad essere santi sapendo che è difficile magari un po’ lo stiamo diventando già. Perché a volte non serve la santità che cambia il mondo, ma solo quella che si riconosce come dono. Un dono che prima di ricevere si è chiesto. Un dono che ancor prima di chiedere si è riconosciuto negli occhi del proprio maestro.

Pippo si è preso un bell’impegno con questo libro. Ha quasi “canonizzato” in terra dei personaggi ancora viventi. O questo almeno è quello che tanti potrebbero obiettare di fronte ad un titolo cosi. In realtà se è vero che i santi, come dice papa Francesco, sono uomini e donne che «hanno la gioia nel cuore e la trasmettono agli altri», è anche vero che «essere santi non è un privilegio di pochi, come se qualcuno avesse avuto una grossa eredità. […] È una vocazione per tutti. Tutti perciò siamo chiamati a camminare sulla via della santità, e questa via ha un nome […], ha un volto: il volto di Gesù». Il volto del maestro. Ecco perché questo libro, lungi dall’essere una “canonizzazione anticipata”, è “solo” un inno ai maestri di ogni generazione, che non sono tali perché sono più anziani di noi, e che non sono tali perché qualcuno ce li ha presentati così. Ma solo perché di fronte ad essi non si può non ringraziare.

Questo libro mi ha insegnato una volta di più la fortuna di poter dire “grazie”, sempre e comunque. Perché nella mia giornata quotidiana, nel mio lavoro di ogni giorno, nel mio sforzo continuo di scoprire i miei doni e di provare a farne briciole di santità, posso dire anche io di avere avuto dei maestri. E forse sit mihi terra levis.


giovedì 19 novembre 2015

La relazione con Dio: canale di vitalità

 
La caratteristica che colpisce nei santi è la relazione con Dio. Per questo sono preziose le loro autobiografie o le biografie di chi li ha conosciuti nell’intimo, come la vita di Santa Caterina scritta dal suo confessore. Ho conosciuto un santo e son rimasto stupito per il continuo rapporto con Dio: con gli Angeli, con San Giuseppe, Maria, Gesù, lo Spirito Santo e così via: giorno e notte.  Ho appreso da lui questa dimensione che non mi era stata trasmessa chiaramente nel messaggio cristiano. 

Mi avevano insegnato a fare il mio dovere, a vivere la castità (tema insistentemente ripetuto), a rispettare i genitori con il seguito degli altri comandamenti. Il primo comandamento rimaneva però ermetico. Solo la rilettura dei Vangeli mi ha portato a scoprirlo come il vero segreto dei santi. La continua relazione di Gesù con Suo Padre ha incrinato la crosta della mia superficialità. Qual è la virtù che Lui più loda? La fede: più volte esplicitamente posta ad esempio nella donna cananea, nel centurione, nell’emorroissa… persone considerate ignoranti dai dottori della Legge. L’amore per il prossimo viene esemplificato in un samaritano, un personaggio da cui non ci si attende nulla di buono. 
Gesù pone se stesso come via (esempio) e verità (rivelazione), ma anche come vita: quella vitalità che ci stupisce negli Apostoli e nei santi. La relazione con Dio dà vita, nasce dalla fede e si riversa nell’amore. Preghiera mentale, confessione, Rosario, lettura spirituale, Santa Messa: canali di vitalità.

giovedì 12 novembre 2015

Castità

 

 La virtù della castità porta alle radici della fede. L’uomo è stato creato da Dio “a sua immagine”: “maschio e femmina” li creò  (Gn 1,27). Il linguaggio è mitico ma ci trasmette una verità. Gesù ricorda che l’uomo “si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola”(Mc 10,8). L’unione è per sempre.
La castità, in particolare quella prematrimoniale, è incomprensibile senza la fede. Nella creazione l’uomo si distingue dagli animali perché il Signore plasmò l’uomo con polvere e soffiò nelle sue radici un alito di vita (Gen 2,7): gli animali sono creature di Dio ma l’uomo è “capace di Dio”. Gesù ristabilisce in pieno la relazione  dell’uomo con Dio e così l’uomo può vivere seguendo la “via” di Gesù. Se non decido di percorrere quella via (che prevede anche la castità prematrimoniale), se non ho capito che la logica di Gesù è diversa da quella mondana e passa per il dono di sé, per la croce di ogni giorno (che comporta la felicità di ogni giorno), come posso pretendere che un giovane non si comporti come un animale, mentre la cultura dominante impone l’idea che noi siamo animali come gli altri?
Conviene sposarsi presto anche se la società contemporanea mette ostacoli. Soprattutto conviene imparare a voler bene che è il primo dei comandamenti. Chi insegna oggi a voler bene? Occorre imparare ad amare. Come sono belli i coniugi vecchietti che si tengono per mano alla sera di una vita insieme!
La castità è una questione di fede e di amore, non di ragionamenti moralistici.


domenica 8 novembre 2015

Una recensione simpatica e inaspettata

Nel mio libro racconto quanto apprezzo le lezioni di Acquagym di Giordana che ha una grazia particolare nel muoversi e nel comunicare. Giordana ha letto il libro e mi ha mandato in What'sApp questa minirecensione che mi è piaciuta:


Ora che l'ho letto sai che immagine mi viene in mente quando ci penso? Immagina una strada piena di gente una folla tipo le strade di new york..io che cammino e ad un certo punto mi passa vicino..Leonardo Mondadori e io faccio...ooohh! Poi cammino e mi passa vicina e mi sorride Susanna Tamaro...e io faccio...oddio era lei! E poi cammino e mi passa vicino il Barone siciliano...e io faccio...oh dio forse l'uomo della mia vita mancato! E poi cammino e incontro Montanelli  e Bernabei e lì sono costretta a fermarli ad abbracciarli da parte tua e dopo faccio..oddio erano loro!! ...ecco mi viene in mente questo....una passeggiata un po' magica...come Alice nel paese delle meraviglie...si perché io con tutta questa gente IMPORTANTE non c'entro proprio niente Pippo!...buona serata!


giovedì 5 novembre 2015

La faccia dei salvati

 
Mi ha sempre divertito la frase di Nietzsche rivolta ai cristiani: “Crederò nel Salvatore quando vi vedrò con la faccia dei salvati”. Mi piace perché mette il dito nella piaga. Io stimo Gesù ma lo voglio rendere compatibile con i miei piccoli interessi. Non avrò mai la faccia del salvato se non imparo da Gesù a vivere d’amore, il che è possibile solo col Suo aiuto. I santi hanno avuto la faccia dei salvati: gente che era irresistibilmente attraente perché Gesù è venuto a ristabilire il giusto rapporto con Dio  e con il prossimo, con l’obbedienza e la carità. Questa è la salvezza.
Abbiamo spesso inteso la sequela autentica di Gesù come un cambiamento di stato di vita: farsi prete, suora, frate o monaco. Scelte meravigliose con cui la Provvidenza ha fatto giungere la fede fino a noi. Ma si può anche vivere d’amore senza cambiare stato. Chi ha la vocazione matrimoniale e si sente chiamato a vivere in questo mondo non è una mezza cartuccia. Può essere santo, un uomo di Dio. Allora sì i cristiani avranno la faccia dei salvati. Vivranno d’eucarestia e sapranno esprimere nel mondo del lavoro e della famiglia le virtù di cui il nostro mondo ha ardente bisogno. Impegnati nel proprio mestiere con cuore mite e umile, capaci di amare il coniuge fino alla morte. Gesù in croce è il vero albero della vita da cui scorre il Sangue che può diventare il mio sangue, malgrado le mie resistenze. Allora la Croce diventa il vero asse del mondo portando nel volto dei cristiani la vera immagine dei salvati.