sabato 30 luglio 2022

 Francesco Cossiga amava occuparsi di vari argomenti in cui dimostrava una competenza solida. Un giorno disse con aria furba e determinata: “Gesù nei Vangeli non ride mai”. Incassai l’affermazione con un certo scetticismo ma non feci obiezione.

Pensandoci bene l’umorismo nasce sempre da un limite umano: alle volte un limite simpatico altre volte consistente. Viceversa i temi che Gesù tratta nei Vangeli sono soprannaturali, non hanno limiti né lacune. Non riesco a immaginare Gesù che scherza sui temi fondamentali e sono contento che non lo faccia.

D’altra parte Gesù parla spesso di gioia, felicità, allegria: temi che abbondano nei Vangeli.

Nelle litanie della Madonna c’è “ causa nostrae laetitiae”.  Riflettevo che non conosco alcun santuario della Vergine che porti questa denominazione. Forse siamo più portati a condolerci della passione di Cristo che a gioire della Sua risurrezione. Mi sembra uno spunto interessante da approfondire, andando a cercare quanto Gesù dice sulla gioia.

Spesso Gesù viene accusato di essere un mangione e un beone perché mangia con i pubblicani e i peccatori. Non riesco a immaginare questi pranzi conciliatori in atteggiamento esclusivamente serio. Un banchetto è un banchetto specie allora che era considerato una specie di festa.

I discorsi di Gesù insistono sulla felicità e la gioia. Le parabole di Gesù si concludono spesso con la gioia: la pecora perduta e ritrovata, la dracma che la donna di casa ritrova e fa rallegrare i vicini, il figlio che torna; il padre ordina il vestito più bello e anello al dito. Sono tutte scene di esultanza come precisa Gesù in conclusione.

Nel discorso dell’ultima cena riportato da Giovanni Gesù conclude: “queste cose vi ho detto perché la mia gioia sia con voi e la vostra gioia sia piena”.

Dopo la resurrezione i discepoli, narra Luca, ritornarono a Gerusalemme “con grande gioia”.

In sintesi non esiste un messaggio carico di gioia come quello di Gesù.

 

 Credere nella vita eterna

 

Ci sono verità di fede che sono vicine alla nostra esperienza. Credere che Gesù sia Figlio di Dio richiede fede ma c’è il racconto dei Vangeli e di tante testimonianze che lo dimostrano. 

Per quanto riguarda la vita eterna non è così. Ci sono testimonianze che provengono dall’aldilà, ma per il resto mi devo fidare della parola del Signore.

Provvidenzialmente su questo argomento Gesù è esplicito e vi torna spesso con naturalezza. Per me è molto importante afferrarmi alle parole di Gesù perché la  mia mentalità è quella del mio tempo, naturalmente portata allo scetticismo.

Il momento più pittoresco è quando i sadducei tentano di prenderlo in contraddizione con la storia della vedova che aveva sposato successivamente sette fratelli (Luca 20). Gesù risponde in modo chiaro: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dei morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti ma dei viventi; perché tutti vivono per lui.”

Più sinteticamente ma chiaramente Gesù afferma in Giovanni 3,16: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”

Le affermazioni di Gesù in proposito sono numerose. Mi fa bene rileggerle, a parte poi quanto affermano gli evangelisti, San Paolo e gli altri. In più anche nell’Antico Testamento appare il tema della vita eterna.

In conclusione si vede che la fede, anche in questo caso, ci illustra ciò che non si vede. Il sostegno è sempre Gesù risorto a cui credo .

 Dopo un intervento chirurgico sono tornato a casa portando con me una riflessione scritta poco prima:

 

Sono venuto qui in ospedale dove mi opereranno fra tre giorni con l’atteggiamento di un cristiano devoto. Mi ero affidato a Dio perché si compisse la Sua volontà. Dopo un giorno mi sono reso conto che non bastava rimettersi alla volontà di Dio ma era necessario essere contemplativo. Sembra una differenza da poco ma non lo è.

Il devoto normalmente pensa ai doveri da compiere e chiede aiuto a Dio. Il contemplativo è molto di più. Intanto campa non per realizzare i suoi programmi ma per praticare ciò che Gesù gli chiede. Le sofferenze che qui ci affliggono sono come una piccola imitazione delle sofferenze vere che Gesù ha sofferto da parte di chi lo odiava. Piccolezze le mie. Quando l’infermiera mi chiede scusa perché non trova la vena e mi fa soffrire, ridiamo insieme perché le dico chiaramente che penso a Gesù e prego per lei. Per cui: giù alla ricerca della vena senza cautele.

 Così per le altre faccende.

 E’ continuo il dialogo con Gesù specie nel tempo dedicato esplicitamente all’orazione mentale. Ogni tanto faccio silenzio perché Gesù m’ispiri ciò che vuole.

 In ospedale mi sento un distributore di grazie: come un maestro d’orchestra che indirizza qua e là le grazie che il Signore mi rifornisce. Sto con Gesù e sono in missione per conto di Dio. Altro che devoto. Se non pensassi così avrei sprecato gli 80 anni meno 18 che ho passato come figlio di San Josemaría. 

 Ho appreso che San Francesco non voleva che i suoi frati studiassero teologia o altro: la sua sorgente di pietà era la contemplazione del Crocifisso. Meraviglia l’omissione degli studi ma, a ben guardare, l’elemento significativo sta proprio nel ritenere che la contemplazione soddisfi le esigenze dell’anima.

Considerando le verità della fede si ha una conferma della semplicità di quanto ci viene proposto a credere. Scrivo oggi che è la festa del Corpo e del Sangue del Signore. Il più ignorante è in grado di capire di che cosa si stia parlando. Il messaggio è che le verità della fede possono essere approfondite con lo studio ma ciò che importa è considerarle e meditarci su…

Pensandoci bene, io non ho mai studiato la figura di mio padre eppure ho ben presente ogni aspetto del suo carattere e del suo stile di vita: ogni particolare mi è chiaro, grazie all’osservazione. Così per mia madre o per i miei amici più vicini. Osservare e contemplare con simpatia porta alla profondità della conoscenza.

Ho presente un quadro in cui San Francesco contempla il Crocifisso. Se ci penso, ho bisogno anch’io di stare davanti al Crocifisso. Contemplando, a poco a poco diventa chiara tutta la dottrina che ho imparato ma la interpreto in modo autentico e vivo.

Ecco qualcosa di cui la nostra epoca ha bisogno. Riscoprire la contemplazione. Non aver fretta. Avere il coraggio di ritagliare del tempo fronteggiando le urgenze che la vita m’impone: un tempo di attenzione davanti alle verità della fede. Carne e Sangue, Pane e Vino: non potrebbero esserci elementi più semplici per svelare al cuore le profondità di Dio.

Gratias Tibi Deus, gratias Tibi.

 

 Noi viviamo in una società che non si può più dire cristiana se non per un’eredità culturale. Il clima generale induce ognuno a vivere in una prospettiva legata a faccende terrene. Il meglio che un giovane si può augurare è trovare una buona e bella moglie e fare un lavoro redditizio. Se può fare una bella carriera tanto meglio e forse arriva a capire che un ruolo di leader comporta anche un’umanità sufficiente per comprendere gli altri. Successo e ricchezza sono l’obbiettivo anche se si sa, ma si evita di pensarlo, che a un certo punto i malanni e la morte verranno a disturbare il bel progetto. Questa prospettiva è povera e non è cristiana eppure ce la troviamo dentro ispirata da social media, giornali, tv e cultura generale.

Un laico cristiano è chiamato sì a essere un buon marito e un lodevole professionista ma l’asse della sua vocazione è identificarsi con Gesù. Il cristiano pensa come pensava Gesù, più o meno con tante ammaccature, ma la sua chiamata è quella: l’identificazione con Cristo. La sua condizione laicale lo chiama ad essere esemplare in tutto: matrimonio, professione, amicizie, vacanze… ma l’intenzione centrale è essere santo e apostolico attraverso le faccende della vita.

Non ha senso accettare il modello della brava persona che aggiunge alla propria condizione momenti di preghiera e di generosità con Dio. Questo cristianesimo sovrapposto ad uno stile di vita pagano non funziona, eppure è diffuso fra i tanti che ancora si dicono cristiani.

Nossignore. Occorre capire che essere cristiani è una chiamata a imitare Gesù. Lo scopo della mia vita non è il successo ma l’amore: amore di Dio e del prossimo. Sono qui per diffondere il Vangelo che tento io di vivere per primo. Valorizzare la condizione laicale non significa appiattirsi sulla mentalità mondana condita con qualche pensiero spirituale. Essere laici cristiani significa seguire Gesù percorrendo con gioia e dedizione i percorsi professionali, familiari, ecc. La morte non è un disastro improvviso: è l’inizio di una nuova vita. I dolori e le contraddizioni sono parte della strada che ha percorso Gesù. Il tesoro incredibile della Santa Messa è il centro della vita interiore: mangiamo Gesù. La lettura del Vangelo, ogni giorno anche se brevemente, è il sale della vita. E tutte le altre pratiche cristiane si incastonano come pietre preziose in questo percorso. Il colloquio interiore con Dio è costante.

Oggi non c’è bisogno di brava gente, ci vogliono i santi. I santi della porta accanto.

 30 maggio 2022

Fra poche ore compirò ottant’anni e vorrei rendere partecipi i miei amici del miglior regalo che ho avuto nella mia vita. Si chiama S. Josemaría, che ha saputo rendere la propria vita un messaggio di Dio alle persone che riusciva a raggiungere. E’ il messaggio di Gesù alle persone del nostro tempo che sono chiamate a trasformare la vita quotidiana in un impegno professionale e apostolico 

 

Tutti abbiamo un lavoro quotidiano da svolgere che va vissuto con uno stile allegro e comunicativo. Cercare di fare le cose bene facendoci aiutare da Dio. Con gli 80 anni di esperienza sono arrivato a capire che il mio contributo è quasi zero. Tutto vien fatto con l’aiuto di Dio che sa trasformare la mia vita in qualcosa che vale per me e per gli altri. Il mio contributo personale è peso, zavorra, l’unica astuzia è far lavorare Dio al posto mio.

 

Non perdere tempo. Leggere il Vangelo, dedicare tempo alla preghiera, scoprire il valore della santa messa, la devozione a Maria, l’approfondimento del messaggio cristiano, condiscono i doveri della professionalità che ognuno svolge e la rendono allegra e capace di vera amicizia.

Un messaggio così è talmente nuovo che non bastano 80 anni per capirlo veramente: ora che li sto compiendo mi accorgo che l’unico desiderio che ho è diffonderlo. Dire fortemente e chiaramente che solo Dio ci rende capaci di amare e che amare è l’unica cosa che conta nella vita. Amare col mio stile personale, col mio impegno, con il mio cuore.

 

Questo è il regalo che io voglio dare agli altri: renderli partecipi del regalo che io ho avuto.

 Forse l’ultima cosa che ho appreso avvicinandomi alla fede cristiana è amare la Chiesa. Nel modo comune di ragionare la Chiesa è considerata un’istituzione come le altre e invece non è così. La Chiesa è stata fondata da Gesù e basta leggere la seconda parte del Vangelo di San Giovanni – il discorso dell’Ultima Cena – per renderci conto che ci troviamo davanti ad una realtà intensa, incandescente, piena d’amore e di dedizione. Indubbiamente nella storia della Chiesa ci sono state istituzioni venerabili che avevano una caratteristica collettiva peculiare. Per esempio il convento o percepire la propria comunità come una compagnia militare. Ma non per questo va persa la dimensione soprannaturale che è anche di stile familiare. Nella Trinità c’è un Padre e un Figlio uniti dall’Amore dello Spirito Santo. Gesù è nato in una famiglia unita che ha superato avversità con spirito di amore intenso. La stessa istituzione naturale di famiglia in cui siamo nati ha una dimensione affettiva fondamentale e, quando non c’è, diventa problematica. La vera dimensione umana è quella familiare: non a caso quando si sta bene si dice che ci si trova in famiglia. Normalmente rispetto al lusso eccessivo si preferisce sentirsi a casa con i gusti e sapori domestici.

E’ importante trattare i propri fratelli nella fede con una delicatezza particolare. E’ bellissimo quando c’è stima e rispetto non solo fra le persone ma anche fra le istituzioni. Tutti noi abbiamo sentito un senso di disagio quando abbiamo appreso che non correva buon sangue tra francescani e domenicani e ci piace vedere quadri in cui sono rappresentati entrambi in atteggiamento fraterno. 

Un senso di rispetto e affetto particolari è dovuto al Papa. Normalmente chi è in posizione di vertice dimostra più chiaramente i propri difetti. In senso positivo penso che tutti abbiamo un bel ricordo dei Pontefici della nostra vita e nutriamo gratitudine al Signore per averci dato in particolare Giovanni Paolo II. Dal 1978 fino al 2005: per più di un quarto di secolo abbiamo palpitato con le sue iniziative e insegnamenti. E’ stato un dono della Provvidenza e giustamente lo veneriamo come un santo.

Viceversa quando ci sembra di scorgere, secondo il nostro illuminato e presuntuoso parere, qualche manchevolezza nel Papa o non apprezziamo qualche sua dichiarazione o iniziativa, facciamo bene a starcene zitti o a far notare che le cose hanno anche aspetti positivi. Soprattutto c’è la Provvidenza che provvede anche quando secondo noi ci sono disastri. Basta dare un’occhiata alla storia per convincerci di questo.

Morale: devo imparare a ringraziare il Signore per l’appartenenza alla bella famiglia della Chiesa, devo stimare e rispettare gli altri cattolici e devo pregare per il Papa, il Dolce Cristo in terra come diceva la grande Caterina da Siena.

Una lamentela ricorrente riguarda l’arte sacra, come se si fosse smarrito il criterio che ha consentito nei secoli passati di creare i capolavori che tutti conosciamo. Il talento umano però spunta sempre fuori e l’Italia è un paese privilegiato da questo punto di vista. Italianissima è Paola Grossi Gondi che ha vivificato una bella chiesa di Roma, San Giovanni Battista al Collatino, con la bellezza di 300 metri quadri di vetrate che lasciano stupiti i frequentatori. Allego qui la vetrata che sovrasta la porta d’ingresso della chiesa e che rappresenta la vocazione di San Giovanni Battista. Il santo ha fra le mani una lucerna che rappresenta il talento umano mentre fuori della caverna splende un sole (non a caso messo in linea perfettamente con la posizione del tramonto del 21 giugno) immenso, che rappresenta la chiamata divina. (Fig.1)

L’estro della Grossi Gondi si esprime anche in una Via Crucis disegnata nero su bianco. E’ stata adottata da una chiesa sorta a Catanzaro, famosa perché è l’unica costruita in un centro commerciale in Europa. Nell’ampio spazio disseminato di padiglioni in muratura sorge la facciata classicheggiante dell’edificio sacro, illuminato da vetrate ideate dalla Grossi Gondi e alle pareti si ammira la semplice e suggestiva Via Crucis di cui riporto una formella.(Fig. 2)

Sempre con soggetto religioso la Grossi Gondi ha ideato i cinque misteri gaudiosi che sono rappresentabili con varie dimensioni perché disegnati al computer. Ne riporto la sequenza che meriterebbe un’osservazione più dettagliata. Ecco un esempio di arte figurativa non banale che sorprende e aiuta a pregare










 

 Pochi giorni fa ho perso un caro amico sacerdote, don Carlo Brezza. Qualche anno fa gli ho fatto una foto che ben trasmette la sua simpatia. Era anche laureato in fisica e aveva scritto bei testi di teologia. La sua caratteristica principale per me è stata l’allegria. Ci siamo conosciuti negli anni 60, eravamo giovanissimi e abbiamo subito condiviso un modo allegro di affrontare le vicende della vita. Ne abbiamo vissute molte anche negli ultimi anni in cui vivevamo nella stessa casa: lui milanese, io napoletano eravamo in sintonia sul tema della serenità.

Ho vegliato la sua salma per ore. In un primo momento avevo impulsi di pianto ma in un secondo momento mi è venuto in mente Gesù che rimprovera i sadducei: “Dio non è il Dio dei morti ma dei viventi” (Mt 22). E allora ho iniziato la conversazione con lui nel giardino fiorito del Paradiso e sono tornato a casa sereno. 

Avevo un buon rapporto con Indro Montanelli. Una delle ultime volte che sono andato a trovarlo mi ha ricevuto dicendo: “Caro Pippo, sono circondato da un cimitero!”. E’ inevitabile che col passar degli anni si perdono gli amici, sempre più frequentemente. Carlo Brezza mi ha insegnato come si accetta la morte di un caro amico.

 Mi è venuta in mente la madre di Sant’Agostino che riteneva non importante il luogo dove sarebbe stata sepolta perché l’anima continuava a vivere. Lei che in anni precedenti aveva insistito per essere sepolta accanto al marito, si era resa conto che è l’anima che vive.

L’eredità che mi ha lasciato il mio amico è una fede piena di allegria. L’uomo di fede è sereno. Ultimamente consiglio ai miei amici di essere amici della Madonna del Buon Umore. Non esiste un santuario con tale nome ma, se ci fosse, potrebbe portare sul frontespizio la scritta: “causa della nostra letizia”. Il cristiano può soffrire ma non essere triste. Arrivederci Carlo!

 

 


 E’ edificante leggere negli Atti degli Apostoli come vivevano i primi cristiani.  Non c’era una mobilitazione attorno a un unico obiettivo caritatevole ma c’era un risveglio di vita interiore di rapporto con Dio a cui faceva seguito un fervore di tante opere di carità, dalla mensa dei poveri, alla cura delle vedove e così via… Il modello dei primi cristiani resta un punto di riferimento. Certamente anche allora non saranno mancati problemi e deficienze ma la temperatura spirituale era alta.  Oggi si intravedono i segni di una ripresa in tal senso. In un clima generale che sembra sempre più pagano, resta la realtà di movimenti vecchi e nuovi che hanno come punto centrale la formazione del laico cristiano. La grazia di Dio agisce sempre così: in un clima ostile nascono nuovi fermenti.

La pratica cristiana va sempre più consolidata: la riscoperta del valore infinito della Santa Messa e della Comunione, il tempo dedicato all’orazione mentale, la lettura del Nuovo e Vecchio Testamento assieme a libri di solida teologia, la devozione a Maria, costituiscono la base spirituale per portare la battaglia su due punti fondamentali: il matrimonio e i giovani. 

Le famiglie cristiane sono oggi centri di spiritualità come furono i conventi dei monaci dell’Alto Medio Evo. Allora la vita non era facile e non lo è oggi per le famiglie cristiane. Tutto concorre a disgregare la famiglia: le abitudini, la mentalità, le occasioni. Perciò è consolante verificare che, all’interno dell’ambiente dei movimenti, resiste il modello del matrimonio felice basato sull’amore vero che ha radici a forma della Croce di Cristo.

Allo stesso modo la formazione dei giovani resta un punto irrinunciabile. All’inizio della vita dei movimenti c’è una mobilitazione di giovani. Questa spinta non deve esaurirsi. Le attività con i giovani sono impegnative perché i ragazzi non sono attratti dalle teorie ma dagli esempi di vita. Perciò sarebbe un grave errore dedicare poche energie alle attività con loro. Le migliori intelligenze e l’attenzione più sveglia vanno dedicate con generosità senza soste davanti alle apparenti difficoltà.

Con famiglie solide e giovani formati si salverà il mondo, malgrado le apparenze. Sembra che l’attività corrosiva nei confronti dei valori cristiani sia dilagante ma, come si diceva una volta, le bugie hanno le gambe corte. Alla prova del tempo chi vive al cospetto di Dio resiste e modella la società.

 

 Avevo deciso di non  scrivere più libri. L’ultimo è stato su san Josemaría e i giovani, che è il tema che più mi interessa: il bellissimo ricordo di un santo che mi è particolarmente padre, assieme all’apostolato con i giovani che è un’esigenza attuale da non dimenticare. Perciò pensavo di essere arrivato al capolinea avendo toccato le note più profonde del mio cuore.

Invece, mentre pregavo, ho sentito la necessità di scrivere sui miei amici santi di ogni epoca. Vorrei dare un contributo alla fiduciosa confidenza con i nostri interlocutori del Cielo. In compagnia dei santi si vive meglio e, naturalmente, è fondamentale il rapporto col santo dei santi, Gesù.

Nella mia vita la presenza di Gesù è stata fondamentale ma la trovo sempre migliorabile. Vorrei esaudire quel desiderio di Gesù di vivere in me che è poi il fine ultimo dell’Incarnazione, riferito a a tutto il mondo e a me. L’Ultima Cena resta uno spettacolo sublime. “Desiderio desideravi” dice Gesù, nel testo latino, per sottolineare con la ripetizione quanto forte fosse la sua voglia di istituire la Comunione con noi. ”Ho desiderato con desiderio” è una frase ridondante che cerca di esprimere il fuoco che c’era nel cuore di Cristo in quel momento.

Allora ecco che sta arrivando, se Dio me lo concede, un libro che parla di questa amicizia con Gesù e con tutti i suoi santi che, come dice Joseph Ratzinger, rappresentano un aspetto della realtà di nostro Signore. Vorrei parlare, oltre che di Gesù Maria e Giuseppe, di San Paolo e della mia amicizia particolare con Maria, la sorella di Lazzaro, quella che s’intendeva con Gesù senza parlare.

Vorrei narrare al mondo la mia gratitudine per Sant’Agostino: la lettura delle Confessioni mi hanno preparato ad un atteggiamento confidenziale con Dio e alla decisione di dedicarGli tutta la mia vita.

Un’altra amicizia particolare è con Santa Caterina da Siena: una mistica vera, molto italiana, dotata di senso dell’umorismo e anche di coraggio. Dire al Papa: “Santità siate virile” non è da tutti. L’efficacia si è vista col ritorno del Papa a Roma con l’abbandono di Avignone.

Un altro santo simpatico non solo a me è san Filippo Neri. Il Signore ce lo ha regalato, immagino, anche per mitigare il rigore di Sant’Ignazio a cui peraltro sono grato per altri motivi. Capire che l’impegno per servire il Signore può essere vissuto con buon umore è fondamentale soprattutto per l’uomo moderno, non solo nel ‘500. Oggi che tanti si affannano per raggiungere i propri obiettivi personali, è utile ricordare che la vita d’intenso rapporto con Dio è fonte di allegria.

Mi fermo qui chiedendo una gentile preghiera per riuscire a compiere questa piccola impresa libraria.