giovedì 27 febbraio 2014

L'imprenditore che ci vuole

Gregorio Fogliani
 
Sono cresciuto nel dopoguerra con un’opinione pubblica avversa agli imprenditori. L’imprenditore era visto comunque come uno sfruttatore e un colpevole: persino l’illuminato Olivetti veniva guardato con sussiego. La cultura marxista era penetrata. Ora che le aziende vengono spazzate via dalla crisi, è diventato evidente che l’imprenditore è indispensabile per la società. La settimana scorsa ho portato un mio amico imprenditore a parlare ad una cinquantina di universitari. Sono rimasto colpito dalle cose semplici e fondamentali che ha detto. Bisogna essere disposti a cambiare lavoro ma non a cambiare moglie. Conviene tornare a casa alle 19, tanto non si fa più nulla di sostanziale e va dedicato tempo alla famiglia. Saper semplificare: è molto più facile complicare che semplificare. Occorre trovare soluzioni non problemi. La parte creativa del lavoro non è in ufficio ma in relazione con le persone. Ha 1.300 dipendenti, la maggior parte donne, e se una, preoccupata, viene a dire che è incinta, si festeggia. In collaborazione con i sindaci e la Caritas  ha inventato una tessera che consente alle famiglie in difficoltà di comprare cibo sano e invenduto. Sta cercando di semplificare la legge che rende difficile la distribuzione di cibo buono imponendo celle frigorifere, mentre molti poveri vanno a recuperarlo nei cassonetti. Lo scopo dell’imprenditore non è il solo profitto ma creare lavoro. Mi sembrava di assistere ad un’esercitazione pratica della dottrina sociale della Chiesa.


venerdì 21 febbraio 2014

L'ultima volta che ho visto San Josemaría


L’ultima volta che ho visto San Josemaría Escrivá gli parlai di tanti giovani che stavano abbracciando con convinzione l’ideale di una vita cristiana coerente. Commentò in spagnolo: “Es cuestión de fé, no es cuestión de otras cuestiones”. E’ questione di fede, non è questione di altre questioni. Questa frase mi è stata di conforto e di stimolo continuo. Di conforto perché le vocazioni al cristianesimo autentico non sono quante vorrei e questa per me è una spina, ma la fede mi dice che la Provvidenza provvede e non devo preoccuparmi più del giusto. Di stimolo perché è la fede che genera la fede fra di noi. Più vivo di fede più contagerò gli altri con questo virus benedetto che proviene dallo Spirito Santo, non certo dalle mie capacità. La Provvidenza provvederà anche a convertire in bene questo festival dell’idiozia che riempie le pagine dei giornali. Un’altra frase di quel giorno mi stimola: “La cosa peggiore che possa succedere è che non si notasse che ci vogliamo bene”. Si deve notare che ci vogliamo bene. Fede e volersi bene, cominciando dai vicini e dai vicini di fede in particolare. Ho cari amici fra i parroci, fra i focolarini, i neocatecumenali, di Comunione e Liberazione… e sento che questa è una cosa giusta. Direbbe Francesco che non dobbiamo aver paura di volerci bene fino alla tenerezza. Fede e affetto. Il demonio teme che ci vogliamo bene. La preghiera ci sosterrà uniti per portare allegria in questa triste Europa e in questo mondo che impazzisce lontano da Gesù. 



giovedì 13 febbraio 2014

La rivoluzione del cristiano è la preghiera

 
3 febbraio, scrive l’Ansa: “La grande riforma del diritto di famiglia a lungo annunciata dal governo socialista francese non si farà, almeno per il 2014… Esultano i movimenti della Manif pour tous … scesi in piazza anche ieri a Parigi e Lione”. Complimenti ai francesi della Manif. In Italia è difficile che ci siano mobilitazioni del genere e non so se affliggermi. Mi viene in mente Papa Francesco che, alla vigilia di un probabile intervento armato delle potenze occidentali in Siria, ha indetto una veglia di preghiera: l’intervento armato poi non c’è stato. Mi viene in mente De Maistre che, di fronte agli orrori della rivoluzione, disse: “Contro la rivoluzione non ci vuole la controrivoluzione ma il contrario della rivoluzione”. Cioè la vita ordinaria operosa. Mi viene in mente San Pietro in carcere. La comunità cristiana prega e Pietro è liberato dall’angelo. La forza del cristiano è la preghiera. Forse, come cittadini, dovremo organizzare manifestazioni, ma prima, come cristiani, occorre che adoperiamo la preghiera per affermare la vita contro la morte, l’amore coniugale contro il divorzio, l’affetto per i malati contro l’eutanasia, la gioia della differenza fra uomo e donna contro l’omologazione fra i generi e così via. Vorrei che qualcuno m’invitasse ad una veglia di preghiera per le persone che non riescono ad arrivare alla fine del mese; per i giovani che non sanno amare e buttano la loro vita; perché ci sia il lavoro che, come ripete Francesco, dà dignità alle persone.



martedì 11 febbraio 2014

L'Elis compie 50 anni

21 novembre 1965 Paolo VI saluta San Josemaría

Io c’ero… E’ una frase che si può usare solo in riferimento ad imprese epiche. L’Elis è stata ed è un’impresa epica. C’ero il 21 novembre del 1965 quando Paolo VI, assieme a diversi Padri Conciliari, venne ad inaugurare ufficialmente il Centro mentre uno splendido tramonto d’autunno incorniciava la cerimonia. C’ero ancora prima, nell’estate del ’62 e del ’63 quando si fecero a Napoli riunioni preparatorie di più settimane per progettare l’attività futura. C’erano quelli che sarebbero stati i pilastri su cui l’Elis si sarebbe innalzato. Persone che hanno dedicato la vita a quest’impresa: Joseph Schmitt, Gilberto Balducci, Silvio e Remo Rigirozzi, Enea de Maria, Carmelo Buttitta, Luciano Iavazzo, Enrico Achiardi, Mario Romano, Emanuele Siddi, a cui si aggiunsero Suso Gonzalez e Alberto Vardiero, e altri che oggi sono anziani a cui va la riconoscenza per un lavoro meraviglioso svolto nel silenzio.  C’ero nella prima notte trascorsa all’Elis nell’estate del ’64 con i materassi ancora avvolti nel cellofane su cui non era facile dormire a causa del rumore che accompagnava ogni movimento. L’edificio era stato progettato dall’ingegner Anton Paolo Savio con una linea e con accorgimenti di vivibilità che valsero diversi premi al progettista. L’entusiasmo era alle stelle mentre cominciava un’impresa in un’area che allora era far west: una periferia disagiata e pericolosa come oggi è difficile immaginare.


Ogni volta che tornavo all’Elis c’era qualcosa di nuovo. La scuola professionale (disegnatori, meccanici, elettrotecnici, saldatori), la scuola alberghiera e il centro sportivo cominciarono subito, poi si aggiunsero, nei nuovi edifici, gli orafi e gli orologiai. Negli anni ’80 cominciarono per i diplomati corsi sostenuti dalle aziende, che poi formarono il consorzio Elis: nuove tecnologie, informatica, tecnica della manutenzione. Poi la consulenza alle aziende con le tesi dei laureandi; lo start up di nuove imprese, la prima CISCO Networking Academy nata in Italia… La marcia continua tuttora inarrestabile: ogni volta si assiste a nuove iniziative fino ai recenti corsi per manager e, fra poco, per imprenditori.
San Josemaría Escrivá lo aveva predetto: l’Elis sarebbe diventata un’università del lavoro. Senza perdere la vocazione iniziale di scuola di frontiera, che trasforma in diligenti operai ragazzi con una storia disagiata alle spalle, si mantiene viva la tradizione dell’artigianato d’eccellenza degli orafi e orologiai, e si fornisce una formazione d’avanguardia a diplomati che sono fortemente richiesti dal mondo del lavoro. Sul mondo del lavoro ora all’Elis si riflette, si studia per aprire nuove strade e soluzioni che rendano più umana l’attività professionale.
Chi viene all’Elis viene attratto da un fascino speciale come se degli alchimisti avessero trovato una pietra filosofale che rende compatibili fenomeni che quasi mai vanno insieme: l’allegria, la capacità di ascolto e di stare con gli altri, l’educazione e la familiarità, la laboriosità e la serenità. Viene voglia di partecipare a quest’impresa che ha radici cristiane e denominazioni inglesi, com’è il caso dei cosiddetti “fellows” che non sono altro che persone generose, di elevate capacità professionali, che dedicano tempo per formare questi giovani.
Nel cuore dell’Elis c’è la preghiera di San Josemaría che ha forgiato uno spirito cristiano capace di trasformare il lavoro in preghiera e la vita ordinaria in occasione d’amore a Dio e agli altri. Il segreto dell’Elis è la preghiera e il sacrificio di tante persone che hanno saputo sorridere, lavorare, perdonare e dedicarsi ai propri compiti senza far rumore.


domenica 9 febbraio 2014

Saper voler bene


In questi giorni ho una spina nel cuore. Un mio amico di 35 anni con tre figli – il maggiore ha otto anni – si sta separando dalla moglie. Il matrimonio aveva retto finora ma la moglie è decisa e sta istruendo le pratiche per la separazione. Nulla di nuovo: siamo purtroppo abituati a notizie come queste. Altra cosa è seguire da vicino avvenimenti come questo. I bambini che telefonano al padre per sapere perché non viene a casa; il padre costretto a cercarsi un appartamento e non ce la fa con le spese; gli accorgimenti per preparare documenti e accuse da presentare al giudice. Non riesco a immaginare una tristezza più nera e mi domando perché. Penso che un esame di coscienza come cristiano lo devo fare. Non sarà che ho parlato troppo di morale, di battaglie contro il divorzio e non ho saputo parlare d’amore? Solo Dio riempie il cuore e aiuta l’uomo a vivere nel modo migliore. Santa Caterina diceva: “Gesù dolce, Gesù amore”. Chi contempla Dio sa amare. Occorre riscoprire l’importanza della contemplazione, della vita di preghiera anche per chi ha la giornata piena. Piena di che? Dedico una chiacchierata al portiere, al barista, all’amico e non posso stare un po’ con Dio? Si può amare anche senza credere in Dio ma quale maestro migliore di chi dà la vita per i propri amici? Gesù m’insegna a sopportare tutto con infinita pazienza ed è Lui che mi sostiene. Ho bisogno d’imparare a voler bene. Solo così si trasmette l’amore. E chi insegnerà l’amore a quei bambini? Gesù aiutaci tu.



mercoledì 5 febbraio 2014

Qui e ora Gesù passa

 
Ogni intervento del Papa è pieno di significati e spunti di riflessione. Domenica scorsa ha osservato che Gesù comincia la sua missione dalla Galilea, “un luogo decentrato”, e con uomini “di basso profilo”: non “si rivolge alle scuole degli scribi e dei dottori della legge” ma a persone umili e semplici. “Gesù va a chiamarli là dove lavorano”. Il Papa traccia un quadro di normalità e, all’interno di questa normalità (della vita di tutti i giorni come la mia ) Gesù passa. “Anche oggi in questo momento, qui, il Signore passa per la piazza” dice il Papa e indica la piazza sottostante. Più chiaro di così! Il Papa, il dolce Cristo in terra, chiama noi come faceva Gesù. Ognuno ha la propria vocazione e Dio mi chiama a viverla pienamente, volando con le ali che Lui mi ha dato, non altre. Nella mia vita ordinaria sono chiamato a vivere un amore straordinario. Se faccio una fotografia della mia vita attuale ho il quadro della mia vocazione. Non il quadro dei motivi per lamentarmi: se le cose stessero diversamente, allora! No: guardando quella foto ho l’orizzonte in cui Dio mi vuole e aspetta che io corrisponda col cuore. E’ Lui che mi dà la forza: le circostanze avverse sono la croce che posso portare agevolmente se lascio fare a Gesù. Mi hanno educato come se tutto dipendesse da me. In realtà tutto dipende dalla mia preghiera. I santi sono stati allegri e fiduciosi. Hanno fatto grandi cose perché si son lasciati guidare dalla fiducia nella Provvidenza. E’ qui e ora che Gesù passa.