Un
mio amico ha perso la moglie dopo 60 anni di matrimonio. E’ una persona di fede
e non dubita che la moglie è in Dio ma è evidente che avverte il vuoto
dell’assenza. La verità della vita eterna è tra le più ostiche per quella
mentalità dominante di cui anche noi siamo impregnati. Per questo ho scritto un
libro sul Paradiso raccogliendo gli elementi di colore che il Vecchio e il
Nuovo testamento riportano in proposito. Mi sono accorto però che ho trascurato
un aspetto importante della vita eterna che è il rapporto tra i defunti e i
vivi. Fin dalla prima formulazione del credo si parlò della “comunione dei santi”: una verità dogmaticamente
definita ma esistenzialmente poco vissuta, o, almeno, così mi pare. La solidarietà
fra la chiesa trionfante, purgante e itinerante è chiara ma ho la sensazione
che non si viva in pratica sufficientemente questa verità. Sappiamo che Gesù ci
è vicino e che Maria, con i santi, è un punto di riferimento, ma i propri cari
defunti possono sembrarci distanti, fermi nelle loro tombe. Invece la fede ben
vissuta non è così. Il clima di famiglia proprio della Trinità, della famiglia
di Nazaret e che Gesù ha vissuto con gli apostoli, continua ad esserci fra i
cristiani vivi e dovrebbe esserci anche con i defunti. E’ un’esagerazione e un
peccato ricorrere alle sedute spiritiche per riascoltare la voce di un caro
defunto, mentre è un atto di fede vera non solo pregare per i defunti ma
sentirsi in loro compagnia, farsi aiutare e sorridere con loro.
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