Il peccato dei buoni
Oggi ho letto un articolo che mi ha intristito. La tesi era che i movimenti, così vitali nel dopo Concilio, stanno vivendo momenti di crisi. Le persone invecchiano, avvengono fatti spiacevoli, non c’è più la carica trascinante che attraeva i giovani. Non so se l’articolo dicesse cose vere ma ho l’impressione che un po’ di verità ci fosse.
I giovani. Credo che sia il tema più interessante, non certo per un giovanilismo gratuito che lascia il tempo che trova, ma è un fatto incontrovertibile che dedicare la vita a Dio da giovani è di una grande fecondità.
Fra le possibili cause di questa relativa sterilità mi sembra evidente una che può sfuggire: il peccato degli uomini di Dio è fare cose buone trascurando Dio. Cerco di spiegarmi meglio. Chi dona la propria vita a Dio si dedica agli altri e trova mille modi per servire il prossimo. Nascono così scuole, corsi di abilitazione professionale, opere di carità varie per risolvere il problema dell’alimentazione, della casa, delle malattie… Mi ha colpito come Madre Teresa, che era famosa per le incredibili opere di carità, insistesse tanto sul tema della preghiera. Insisteva che bisognava dedicare tempo al rapporto con Dio, mentre il senso comune è portato a pensare che bisogna darsi da fare al massimo per aiutare il prossimo. E invece sta qui il trabocchetto diabolico. Se mi do tanto da fare posso cadere nella tentazione di trascurare un rapporto vivo e continuo con Gesù. La vita intima spirituale si assopisce. Il passo successivo è che parlo poco di Gesù. Quello ancora successivo è che non parlo di Gesù ai giovani.
Avere a che fare con i giovani non è facile perché i giovani sono immaturi e, come i selvaggi di Cristoforo Colombo, sono portati a valorizzare più gli specchietti lucenti rispetto alle pietre preziose del rapporto reale con Gesù. Per seguire i giovani ci vuole dedizione e pazienza. I santi fondatori avevano un grande spirito di sacrificio per dedicar loro tempo e adattarsi alla loro mentalità. Erano attraenti per i giovani e per esserlo ricevevano dallo Spirito Santo la grazia di essere vitali e divertenti. Avevano un magnetismo che derivava dalla fede e i giovani facevano l’impossibile pur di stare con loro.
Quando si pensa solo a fare cose buone cominciano le differenze di impostazione, si creano facilmente contrasti, si è simpatici con alcuni e antipatici con altri. Il valore dominante diventa la quadratura del bilancio economico. Le normali virtù che rendono le persone simpatiche si affievoliscono, si diventa duri e polemici …
Solo il rapporto vero con Dio ci consente di volare sulle asperità della vita come un aereo che sorvola le cime degli alberi: non trova barriere. Il buonumore è costante, si acquista la capacità di comprendere e convivere.
Ecco allora la medicina di chi guida le istituzioni e movimenti della Chiesa: un intenso rapporto con Dio e prodigarsi nelle attività con i giovani. Come hanno fatto i santi, come ha fatto Gesù. Allora l’avvenire è sicuro.
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