Le parabole di Gesù sono tutte belle: le abbiamo ascoltate tante volte ma c’è il rischio di darle per scontate. La parabola del figliol prodigo, ad esempio, è ricca di particolari significativi. La prima parte della parabola è descrittiva dello stato di bisogno del figlio dopo la dispersione della sua eredità. Successivamente meritano attenzione i particolari che emergono dal comportamento del padre. Il figlio che torna non bussa alla porta ma il padre lo vede prima, perché scruta l’orizzonte con speranza… sta attendendo e spera. Il padre non lo aspetta sulla soglia ma corre: è un anziano che corre. E lo baciò. In latino: cecidit supra collum ejus et osculatus est illum. Letteralmente: “gli piombò sul collo e lo baciò”.Il padre si rivolge ai servitori e ordina la veste più bella. Allora i vestiti erano pregiati e la “veste più bella” fa capire che esisteva una gerarchia fra i vestiti: andava preso il capo migliore di tutti. A rivestirlo dovevano essere i servi, dice il padre, perché il figlio non aveva perso la sua dignità.“Mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi”. Sia l’anello che i calzari erano accessori con un preciso significato d’importanza.“Portate fuori il vitello ingrassato”… Il padre non dice “un vitello” come ce n’erano nella stalla, ma “il” vitello. Era il migliore, la prelibatezza.“Perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”. Qui c’è l’insegnamento di Gesù: La lontananza da Dio è morte e, soprattutto, il Padre ci aspetta ansiosamente. Dobbiamo allietare Dio. Dobbiamo farci ritrovare…
“E si misero a fare una gran festa”. Per chi ha una concezione malinconica della fede, resti ben chiaro: il Padre organizza una festa. Con Dio si sta bene. Si ride e si è felici.
Il figlio menagramo che torna dalla campagna rappresenta anch’egli noi stessi quando subiamo la volontà di Dio di traverso. No! Noi dobbiamo abbracciare felicemente la nostra vocazione: lo stato in cui ci troviamo. E’ lì che dobbiamo gioire con Gesù e fare festa nell’affetto del Padre.
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