Ho già scritto su questo tema che mi sembra importante. Il buon umore si può definire in molti modi. C’è un aspetto fisiologico e uno culturale. Quando si sta bene è spontaneo stare di buon umore mentre in condizioni diverse richiede una decisione della volontà. A Napoli il buon umore si intravede dappertutto. Fa parte del patrimonio culturale della città tanto che lo stare di cattivo umore è considerato cattiva educazione. La cordialità sorridente è una specie di musica di sottofondo che a Napoli si avverte. Non così altrove. Stare di cattivo umore in molte parti viene considerato normale.
In effetti non sembra giusto. Il tratto gentile e sorridente allieta la vita agli altri e li induce ad assumere lo stesso atteggiamento. Prova ne sia che (è l’esempio più semplice) se entro in un negozio e aggiungo una nota scherzosa alla mia richiesta, quasi sempre chi mi riceve si adegua e scherza pure lui. Alle volte si giunge alle risate anche se l’argomento dell’acquisto è serio.
Stare di buon umore vuol dire che non trovo nella mia vita qualcosa di così tragico che mi rattristi. Chi sta di buon umore non merita la frase: “beato te che ridi e non capisci niente”, come se fosse una vispa Teresa. Invece può darsi che chi sorride sa passare al di sopra degli inevitabili urti della convivenza e della vita, se non addirittura si rende conto che ciò che accade dipende dalla volontà di Dio e va accettato. In questo caso il buon umore è una conseguenza della fede. Ho conosciuto due santi di costante buon umore: Giovanni Paolo II e San Josemaría Escrivá.
Il buon umore non è un fatto accidentale: è un vero e proprio atto di virtù. Viva chi sa stare di buon umore!
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