“Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi”. Sono parole di Gesù (Mt10,16) rivolte ai discepoli in partenza per una missione apostolica. Quando Gesù usa il paragone della pecora non allude alla debolezza remissiva, indica il coraggio di andare laddove il pericolo è superiore alle nostre forze. Il richiamo alla pecora fa capire che il messaggio da diffondere non è aggressivo: è un messaggio suadente per la sua verità intrinseca. Si tratta di proporre non di imporre. Sarà la grandezza di Dio a dare efficacia alla testimonianza.
Subito dopo dice ai discepoli “siate semplici come colombe e astuti come serpenti”. Le due cose sono compatibili. Non bisogna essere ingenui ma astuti, e nello stesso tempo con la semplicità di chi porta la pace dentro e fuori di sé.
Il cristiano è chiamato a testimoniare Gesù nell’ambiente di lavoro e in famiglia. Nel lavoro spesso sembra che il filosofo inglese Hobbes avesse ragione quando ripeteva la frase antica homo homini lupus: l’uomo è un lupo per l’uomo. Frase orribile e antipatica per chi ha un cuore cristiano. Il seguace di Gesù non è un lupo ma un amico. “Vi ho chiamato amici” afferma Gesù. L’amico è chi accetta l’altro per quello che è, lo giustifica e l’aiuta.
Lo stesso in famiglia dove il cristiano deve desiderare di rendere contenti gli altri, stimandoli, senza avere un’idea troppo elevata di se stesso (S. Paolo, Romani 12).
Ecco, nella famiglia e nell’ambiente di lavoro, Gesù mi chiede questo: saper essere un amico sincero, umile e affettuoso.
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