Tempi le ha già fatto un’intervista (3 febbraio) ma vale la pena tornare a parlare di Costanza Miriano e del suo libro “Sposati e sii sottomessa” per il semplice motivo che è un libro imperdibile e che l’estate è il momento buono per leggerlo. L’autrice è spiritosa ma il suo umorismo ha radici profonde: si alimenta di un autentico rapporto con Dio, che è il solo capace di dare vera allegria. Perciò dire che questo è un libro divertente è una verità, ma è una verità parziale. Nella sostanza è un libro controcorrente e tostissimo: mena fendenti come el Cid Campeador, come Aiace Telamonio, come il Mazinga degli anni ’70. Le tesi proposte sono quelle, ben conosciute, della dottrina della Chiesa sulla donna, sulla vita, il matrimonio, l’educazione, ma l’autrice non procede per princìpi primi, procede dalla propria esperienza personale: è questa, la propria esperienza, a convincere lei, e il lettore, che la felicità si ottiene vivendo in modo giusto.
A proposito delle donne Costanza dice: “Noi dobbiamo
dare, difendere, appoggiare, sostenere la vita. Mi sembra invece che le donne
della mia generazione che, per la prima volta nella storia, possono chiedersi
se accettare o no questo ruolo, gli dicano di no con troppa fretta e
leggerezza. Magari semplicemente perché è possibile dire di no. Salvo poi
accorgersi quando è troppo tardi che forse non era quella la risposta che
volevano dare. Salvo poi accorgersi che la donna si ritrova dandosi. Salvo poi
accorgersi che quando c’è qualcuno da proteggere, una trova le forze per
rimettersi in piedi da qualsiasi situazione personale, anche disastrosa. E’ una
forza potente l’istinto materno…”
Sull’amore dà un consiglio definitivo a una sua amica
traballante: “ Vivere tutti gli amori non t’insegnerà sull’amore quanto viverne
uno solo in profondità”.
Alle amiche femministe fa considerare “la nuova
schiavitù in donne che credono di essere liberate e invece forse hanno
sbagliato mira. “Verso tuo marito sarà il tuo istinto ma egli ti dominerà” dice
la Genesi. Qui è nascosta una scintilla, una via per la felicità. Già qui, su
questa terra. E quindi la donna obbedisce perché sa ascoltare, non perché si
deprezza.”
“L’indissolubilità del matrimonio ti chiude tutte le
strade ma ti apre un’autostrada. Cominci a sforzarti di amare anche i difetti,
non li rinfacci, ma li accogli. Non ti poni più il problema se la situazione ti
vada o no, ma come farla funzionare, visto che deve andare, a tutti i costi.
Allora cominci a vivere l’ordinario (compresi rotture di scatole, atteggiamenti
che ti fanno venire i nervi, contrasti, noia) con amore, trasfigurandolo. E
quando cominci a donarti, ti viene da pensare che è così bello vivere così, che
quasi ti chiedi dov’è la fregatura. Non c’è”.
E a proposito della cosiddetta liberazione sessuale:
“Io tutta questa felicità, in chi finalmente si è liberato, non la vedo proprio
per niente… Credendo di emanciparci ci siamo svendute per un piatto di
lenticchie: abbiamo adottato il
modo maschile di concepire la sessualità. Eravamo le custodi della vita, non lo
siamo più… in cambio della libertà ottenuta, le prime a soffrire siamo noi. Ne
soffriamo noi e ne soffre tutto il mondo, perché se non lo facciamo noi, chi
custodirà l’amore per la vita?”
E, a proposito dell’aborto, dice all’amica in dubbio:
“C’è una persona molto piccola, che ha bisogno che tu diventi un po’ più
grande, un po’ più forte e che la difenda. Che vuoi fare?”
E a chi teme di perdere la propria autonomia
suggerisce: “ Non decidi più quando dormire, mangiare, fare la doccia. Non
decidi più quando essere di cattivo umore e quando trascorrere una giornata
svaccata e inconcludente. Non decidi quando leggere e quando telefonare. Eppure
ho visto tante donne inquiete che in questa perdita di sé hanno trovato la
pace. Non povere frustrate, con vite vuote e deprimenti che finalmente hanno
trovato un perché, ma anche ingegneri, medici, avvocati, magistrati, docenti
universitarie. Donne già realizzate e felici che a un certo punto, al bivio,
passano dall’altra parte e cominciano a servire. Rinunciano ad essere brave in
tutto, rinunciano ad avere mani in ordine e scarpe intonate alla borsa, pelli
lisce e conversazioni aggiornate, e cominciano ad occuparsi di qualcun altro.
Non perché non amino più le scarpe abbinate e la manicure, ma perché amano
ancora di più la felicità di qualcun altro.”
E di fronte all’emergenza educativa… “Non si sa perché
si educa. A cosa si educa, se neanche i genitori sanno perché vivono e dove
vanno? Se si toglie il timor di Dio, come si fa ad educare? Se si toglie l’idea
del peccato originale e del bisogno di salvarsi, che cosa vuol dire educare? Se
togli inferno e paradiso – considerati ridicola roba da donnicciuole da tutti
gli intellettuali, a parte Camillo Langone – perché dovresti conquistarti
l’eternità?”
E’ forte Costanza e inietta una buona dose di ferro
nell’animo del lettore. Se la vedi in tv, o in qualche presentazione del libro,
sembra quasi timida e con un’overdose di autoironia. Ma non bisogna lasciarsi
ingannare. Costanza è una dei personaggi forti di cui abbiamo bisogno oggi. Con
il suo umorismo t’introduce ad uno stile di vita che è nientedimeno lo stile
dei santi di oggi come Dio li vuole: persone che si nutrono dell’Eucarestia e
del Vangelo e poi vivono la vita ordinaria con un amore straordinario. Non li
noti subito ma la loro vita riscalda la tua: ti aprono una strada in un mondo
che non ti capisce e che spesso ti è ostile. Per questo Costanza è importante:
abbiamo bisogno di cristiani così per capire qual’è la strada, e per liberarci
dalla coltre di sciocchezze con cui la cultura dominante vuole soffocarci.
Nessun commento:
Posta un commento