Il
giovedì santo è stato sempre per me il giorno più intimo e commovente. Mentre
la domenica di Pasqua è il giorno della gioia vera, profonda, smisurata, la
cena del giovedì è un momento raccolto: Gesù parla con parole infiammate,
spiega l’amore di Dio e il comandamento “nuovo” di amarci come Lui ci ha amato.
Lui stesso si dà da mangiare e crea l’unione più intima che si possa
immaginare. Finita la cena Gesù esce nella notte, va nel Getsemani, dove prega,
suda sangue mentre gli apostoli si addormentano e non riescono a vegliare.
Joseph Ratzinger afferma in un suo scritto (Il cammino Pasquale, ed. Ancora)
che la Chiesa commemora questo itinerario di Gesù portando il Santissimo fuori
dal tabernacolo in una cappella laterale rappresentando così il percorso di
Gesù fuori della casa, nella solitudine e nell’angoscia. A noi, a me, tocca il
compito di accompagnarlo. Sembrerà strano ma confesso che non mi ero reso conto
pienamente del significato di questa liturgia. Quelli che da bambino sentivo
chiamare “sepolcri” e che da grande mi avevano fatto contemplare
l’Eucarestia, ora li vedo con
questa luce nuova. Sono l’occasione di rispondere a Gesù che mi dice: non sei
stato capace “di vegliare un'ora sola con me?” Veglia e prega... (Mt 26,40).
Questa scoperta mi accompagnerà il prossimo Giovedì Santo. Ringrazio Joseph
Ratzinger che mi offre alimento solido per la fede. Per gratitudine, alla mia
preghiera per Papa Francesco aggiungerò d’ora in poi: “e per il caro Papa
emerito Benedetto”.
Nessun commento:
Posta un commento