La
formazione religiosa mi fu data da mia zia in Calabria nell’estate che
precedette la prima comunione, a sette anni. Poi la scuola ha aggiunto la
nozione di peccato mortale, che si verifica se c’è “materia grave, piena
avvertenza, deliberato consenso”. Non capivo bene il significato delle parole
ma averle imparate a memoria mi è servito per chiarire progressivamente le idee,
con annessa paura dell’inferno. Poi c’è stata la parentesi adolescenziale di
abbandono della pratica religiosa fino alla riscoperta di un mondo nuovo,
affettuoso, familiare dove Dio era diventato “papà” e non il controllore
giudice. Nella scoperta della parolina “abbà-papà” era inclusa una pratica che
non conoscevo: l’orazione mentale. “Mi
hai scritto: “Pregare è parlare con Dio. Ma, di che cosa?”. Di che cosa? Di
Lui, di te: gioie, tristezze, successi e insuccessi, nobili ambizioni,
preoccupazioni quotidiane..., debolezze! E atti di ringraziamento e suppliche:
e Amore e riparazione. In due parole: conoscerlo e conoscerti: “stare insieme!”.
E ancora: “Non sai pregare? Mettiti alla presenza di Dio, e non appena
comincerai a dire: “Signore, ... non so fare orazione!...”, sii certo che avrai
cominciato a farla.” (Punti 91 e 90 di Cammino).
Lungo la mia vita “ho fatto orazione” ogni giorno in modo diverso. In
quest’ultimo periodo è aumentata la fiducia nella provvidenza di Dio e
diminuita quella in me stesso. Parlo al Signore dei miei amici e di me.
Ascolto. Lascio che il sole dello Spirito Santo abbronzi la mia anima.
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