E’ tradizionale parlare dell’imitazione di Cristo nella cultura cristiana. Una delle immagini non molto usate è quella di farsi pane per gli altri come Gesù ha fatto per noi. Pane e anche vino.
In questi giorni sto vivendo una particolare accoglienza nei confronti di Gesù, ben sapendo che pur essendo piccolo e indifeso, è lui che conduce il gioco. E allora come la mettiamo questo farsi pane per gli altri?
Credo che l’importante sia farsi aiutare meglio da Lui. Intanto farsi pane significa voler bene. Il pane, quello buono, non quello sofisticato che dura solo un giorno ma quello genuino, un po’ paesano: sembra comprensivo e disponibile. Sa aspettare il momento in cui io, che mangio più del necessario, torno ad avere appetito e lui è lì che mi aspetta. Ricordo che da ragazzi in Calabria giocavamo con gli amici e veniva un momento nel pomeriggio in cui il ragazzo che ci ospitava apriva la dispensa e ci offriva pane. Pane e basta. Ho nostalgia di quel pane e di quella fame. Quindi prima caratteristica: essere genuino. Non farmi trascinare in complicazioni sofisticate. Voler bene e basta. Adattarmi allo stomaco degli altri. Essere allegro, interessato e partecipe. Essere commestibile.
Poi c’è anche il vino. Essere vino potrebbe dire essere spiritoso, non nel senso di chi vuol esserlo a tutti i costi, ma di chi si lascia andare così com’è con la vitalità che Dio mi concede. La persona simpatica è quella in cui si può leggere dentro, sincera. Non a caso si dice che il vino buono è sincero. Il vino che Gesù fa bere a Cana, trasformandolo miracolosamente dall’acqua, viene lodato per la sua qualità. Un vino senza sofisticazioni e spiritoso, alcolico al punto giusto. Soprattutto se si vuol trasmettere lo spirito di Dio non si può essere pesanti e musoni. I santi quasi sempre erano divertenti o almeno molto interessanti.
Potrei continuare ma mi fermo qui perché pane e vino non possono essere presi in troppa quantità.
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