Durante l’intervento al Meeting di Rimini sulle canzoni napoletane (notare l’importanza dell’argomento) mi è capitato di dire che i napoletani hanno un imperativo categorico, come quello di Kant, che sostiene che il buon umore è una condizione necessaria per vivere bene.
A dire il vero è l’unico concetto che i miei amici ricordano del mio intervento, ma non mi dispiace. A Napoli stare di cattivo umore è considerato sconveniente mentre il buon umore e le battute di spirito sono apprezzati e provocano risposte in sintonia.
In realtà prendere le cose che capitano non troppo sul serio e vederne l’aspetto relativo, finanche umoristico, predispone alla visione cristiana della vita perché non pone i valori umani come assoluti ma se ne vedono i limiti e se ne può ridere. Non occorre essere napoletani per assumere questo atteggiamento. Basta essere cristiani.
Il cristiano sa che tutto dipende dalla grazia di Dio. Sicuramente gli tocca impegnarsi, prevedere, realizzare progetti, ma sa anche che ciò che conta è la volontà di Dio. La sua preghiera è confidenziale e fiduciosa: le risposte di Dio vanno ascoltate nel silenzio del cuore con umile attenzione. Alle volte Dio ci ispira chiaramente, altre volte ci fa comprendere la Sua volontà attraverso i fatti della vita. Il cristiano sa di essere una creatura che dipende e che non tocca a lui l’ultima parola.
Chi non vive di fede subisce l’angoscia di pensare che tutto dipende dai suoi sforzi. Questa è una malattia contemporanea. Viceversa, sapere che, oltre al necessario impegno personale, tutto dipende dal Signore, dà una serenità che si esprime nella preghiera fiduciosa.
In fin dei conti l’uomo di fede assomiglia al napoletano classico perché sa che il risultato non dipende da lui e sa sorridere della sua insufficienza. Insomma per chi crede in Dio l’umorismo è un compagno di viaggio.
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