Il
problema dei giudici “iniqui” è vecchio come il mondo. Nel vangelo c’è una
parabola dedicata al giudice iniquo che alla fine fa giustizia soltanto perché
la vecchietta è insopportabilmente insistente. Nell’antico testamento, nel
libro di Daniele, troviamo due giudici anziani che vogliono approfittare della
bella Susanna e, quando lei si ribella, la condannano. Solo l’intervento di
Daniele riesce a salvarla. Da sempre il crimine commesso dal titolare della
giustizia è ritenuto il più odioso perché commesso da chi dovrebbe essere giusto.
Non
occorre essere esperti di vicende giudiziarie per porsi domande semplici ma
fondamentali. Come mai nel nostro Paese la giustizia è lenta fino a raggiungere
il suo scopo dopo troppi anni, alle volte dopo la morte degli interessati? Come
mai si ha l’impressione che i giudici diventino veloci, documentati e
aggressivi soltanto quando prendono di mira una parte politica? Come mai i
processi sono diventati clamorosamente mediatici diffamando irrimediabilmente
l’imputato anche quando in seguito si rivela innocente? Come mai si fa tanto
uso del carcere preventivo quando è noto che in Italia equivale ad una tortura?
Sono
domande che la gente si pone, ma spesso non protesta perché il danno capita ad
“altri”. Ma dovremmo renderci conto che gli “altri” siamo noi. E’ vero che non
ci sarà mai una perfetta giustizia in questo mondo ma, per costruire una nuova
civiltà, occorrerà essere noi più giusti e denunciare questi comportamenti,
indegni di una democrazia.
Anche senza introdurre il principio della responsabilità , le cose potrebbero cambiare se la carriera economica di un giudice fosse legata al numero di sentenze emesse e alla percentuale di quelle risultate coerenti con quelle emesse nell'ultimo grado di giudizio .
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