martedì 2 ottobre 2012

La fede va comunicata con fede


La vita cristiana risponde alle esigenze della natura umana. Solo Gesù è in grado di riempire il nostro cuore e dare le risposte più profonde di cui andiamo alla ricerca. Questo è il grande tema sul quale i cristiani oggi sono chiamati a dar ragione della loro speranza. L’impresa non è facile perché la cultura dominante predica esattamente il contrario: liberiamoci dalla morale cristiana, si può vivere bene, anzi meglio, senza Dio. E’ una battaglia impari che ricorda quella combattuta dai primi cristiani contro la tradizione dell’Impero Romano che pretendeva il culto idolatrico.
Oggi la situazione è più complessa perché il messaggio cristiano viene dato per conosciuto e superato: non è totalmente contrastato ma relegato come marginale e, in fin dei conti, inutile. Conviene quindi una riflessione, soprattutto per quanto riguarda i laici credenti a cui tocca, ancor più che ai pastori, farsi carico della rivoluzione spirituale e culturale di cui c’è bisogno.
In passato la Chiesa è stata comunicatrice a tutto campo. La storia di Gesù, coronamento della storia della salvezza, è una storia affascinante, capace giustamente di coinvolgere giovani e vecchi, dotti e ignoranti. La Sua storia ha fatto prepotentemente ingresso nella Storia e i quattro vangeli sono la testimonianza dell’intensa tradizione circa la vita di Gesù. I Vangeli stessi sono un capolavoro di comunicazione: comprensibili da tutti, narrano la storia di Gesù attraverso i fatti della Sua vita e le Sue parabole, intessute di vita vissuta: la dracma perduta, il tesoro nel campo, il fico sterile, la pecora perduta, la donna malata, l’indemoniato guarito, la peccatrice perdonata, la perla preziosa… Una comunicazione perfetta.
Tutti sappiamo come, nei secoli, la Chiesa sia stata promotrice di arte e cultura: proponeva uno stile di vita a tutto tondo. Dal canto gregoriano nelle navate al riferimento costante dei campanili, svettanti nelle campagne e dominanti nelle città. La pittura era il catechismo degli illetterati (e anche dei letterati), l’agricoltura, le scienze e il vivere sociale avevano ripreso l’avvio dai conventi, le università erano nate ad opera dei frati. Il motto dell’Università di Oxford è tuttora Dominus illuminatio mea…
Poi c’è stata la ribellione della modernità. Una ribellione con effetti anche salutari: la Chiesa non è più l’arbitro politico fra i popoli ma è stata ricondotta alla sua funzione unicamente spirituale: il mio regno non è di questo mondo, aveva chiarito Gesù. Ma da questa ribellione la Chiesa non si è ancora ripresa. La sua voce potrebbe squillare ben a ragione come unica rivelatrice di bene e di felicità e invece la cultura dominante, forte delle sue radici illuministe, positiviste e puritane, tende ad azzittirla. E questo è il compito che ci attende: dare voce alla nostra fede. Ora è l’anno della fede ed è il momento buono per viverla meglio, e per comunicarla.
La Chiesa non è una società come le altre: la soluzione del suo problema di comunicazione sta nella vita santa dei suoi membri, nell’accoglienza da parte loro del dono dello Spirito Santo. Chiarito questo punto occorre comprendere a fondo che non ci si può limitare ad annunciare una dottrina basata su concetti astratti, principi, leggi, numeri. Questo può andar bene per comunicare con intellettuali ma per arrivare a tutti non basta dire cose vere, occorre raccontare delle storie.  L’emozione che una storia provoca fa sorgere interesse per la verità. Le ragioni, che noi cristiani abbiamo, devono risaltare attraverso le emozioni. I grandi scrittori russi dell’800 hanno fatto questo. Un romanzo come Il Signore degli anelli trasmette valori attraverso il racconto fantasy. Il romanzo di Alessandro D’Avenia Bianca come il latte, rossa come il sangue è in vetta alla classifica da quasi tre anni, è stato tradotto in 16 lingue e riceve, attraverso internet, attestati di ritorno alla fede da parte di tanti lettori.
I grandi sistemi di potere della nostra epoca hanno trasmesso il loro stile di vita non solo attraverso la letteratura ma attraverso il cinema e la televisione. Da bambino i film western, d’amore e di guerra americani sono stati il mio modello culturale, a cui vanno aggiunti i dischi e la musica, dal jazz in poi. I miei genitori, a modo loro, si riferivano al modello inglese che è continuato attraverso i film,  i prodotti della BBC, i Beatles e compagnia. La Cina oggi sta reinventando la sua storia e la sua mitologia sempre attraverso i film. L’India ha Bollywood, il Brasile la musica e il calcio spettacolo.
In Italia la società di produzione Lux Vide, fondata da Ettore Bernabei, ha prodotto per la tv 100 ore di film sulla Bibbia e ha venduto con ottimi successi i suoi prodotti in tutto il mondo (unica produttrice italiana a raggiungere questo risultato). Non si è limitata alla Bibbia e alle vite dei Santi (il santo è più amabile di altri personaggi: attraverso la sua storia la gente percepisce che la vita cristiana è conveniente ai desideri del cuore, è desiderabile) ma ha offerto al pubblico storie belle come Guerra e Pace, Pinocchio, Cenerentola e tante altre, mentre il Don Matteo ha superato il Grande Fratello. Le storie televisive plasmano il gusto e la vita della gente, dobbiamo rendercene conto e impegnarci.
Se qualcuno offre al pubblico la storia scandalosa di un prete pedofilo, la risposta non può essere solo che i preti pedofili sono meno dell’1 per mille dei sacerdoti. Occorre raccontare una storia di un prete fedele e amabile: una storia vera e quindi convincente. Non si può solo rispondere con concetti astratti.
La rivista su cui sto scrivendo, Tempi, svolge, al suo livello, un servizio del genere. Basta, a titolo d’esempio, vedere come la storia commovente di Simone stia creando un movimento di opinione pubblica per il miglior funzionamento del sistema giudiziario italiano.
In sintesi occorre fede, cuore, convinzione per trasmettere a tutti i livelli emozioni che abbiano come fondamento la verità. Si tratta di un compito immane, siamo dei Davide di fronte a Golia, ma, come per Davide, la grazia del Signore è la nostra forza.




1 commento:

  1. Sì, è così. Una volta sentii un insegnamento che mai dimenticherò: un vecchio Prete spiegò che la Fede non è tanto credere nell'esistenza di Dio (questo è sentimento diffuso, comune a pressochè tutte le religioni) quanto piuttosto credere che Iddio è Divina Misericordia e Provvidenza, un Padre buono che interviene nella storia dell'umanità e nella vita quotidiana di ciascuno dei suoi figli, nessuno escluso. Spesso è difficile convincersene, ma bisogna saper e voler aprire il cuore a questa Verità. E comportarsi di conseguenza. Buon Anno della Fede a tutti !

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