martedì 30 gennaio 2024

centenario Opus Dei

 Nel 1928 l’Opus Dei compirà cento anni dalla sua fondazione. Non so se ci sarò allora ma certamente il momento è adatto ora per ringraziare il Signore per la meraviglia dello spirito dell’Opera. Tutti sappiamo cosa vuol dire essere cristiano, ma fino ai giorni nostri era radicata la convinzione che soltanto alcuni dovevano vivere di fede: i sacerdoti, le suore, gli ordini religiosi, gli addetti alle faccende del culto… Il merito di San Josemaría Escrivá è stato quello di cambiare la mentalità e di ricordare a tutti indistintamente che erano chiamati ad essere veri cristiani, cominciando a vivere un nuovo stile di vita coerente con la fede. Ecco che il lavoro di ogni giorno, gli impegni familiari e tutte le occupazioni del cristiano comune sono diventate occasioni per vivere le virtù con lo stesso impegno dei religiosi nei loro conventi. Tutte le circostanze sono occasioni di amore per Gesù, anche le più apparentemente banali. A ben pensarci questa è una rivoluzione epocale e chi è portatore di questo messaggio ha una bella responsabilità: deve essere santo e diffusore di santità.

Tutte le realtà cattoliche del nostro tempo partecipano di questo messaggio ma in particolare l’Opus Dei ha questa finalità. Nessuno può sentirsi esente dalla chiamata a vivere una fede radicata nella vita di ogni giorno. 

 

Tutte le istituzioni della Chiesa sono esposte al pericolo della banalizzazione del loro messaggio. Solo la Chiesa nel suo insieme non conosce invecchiamenti e continuamente si rinnova. Il nuovo anniversario può costituire per l’Opus Dei un rinnovare il fervore che il Fondatore ha trasmesso. I tempi passati non sono un ricordo destinato a sbiadirsi ma un incentivo a mantenere sempre viva questa grande novità: la nostra vita, che forse avevamo creduto normale e quasi banale, è invece un’occasione di rinnovare continuamente il nostro amore. Pensavamo alla vita ordinaria come luogo d’abitudine e invece ci troviamo davanti alla necessità di lasciare ben chiaro un solco di amore. Tutti noi possiamo immaginare come sarebbe stata la nostra esistenza senza il messaggio dell’Opera, e invece ecco che siamo genialmente costretti ad essere persone uniche e irripetibili perché innamorate. Ognuno di noi si sente inadeguato ma il nostro cammino è sostenuto dal vento dello Spirito Santo che fa di noi persone tutt’altro che banali e prevedibili. Banali e prevedibili saremmo stati noi se ci fossimo adagiati alla vita di sempre. Invece no: ogni giorno è una nuova battaglia da combattere assieme a Gesù.

 

Mi sono trovato a vivere in prima linea il cinquantesimo di fondazione dell’Opus Dei. Le circostanze erano speciali: nostro Padre era morto il 26 giugno del 1975 mentre il cinquantenario cadeva tre anni dopo, nel 1978. Era ancora vivo e attuale il ricordo delle promesse fatte a nostro Padre che desiderava per noi una maggiore vivacità apostolica e, proprio nel 1975, c’era stato un fiorire di vocazioni all’Opera che continuò negli anni successivi. Era chiaro che un anniversario come il cinquantesimo doveva significare un maggiore impegno nella preghiera e nell’apostolato e così fu. Penso che anche il centenario debba avere questo motivo di fondo: preghiera e apostolato che sono il manifestarsi della vita spirituale del cristiano. Perciò ben vengano le idee di rinnovamento di questo o quell’aspetto del nostro spirito ma la sostanza non muta. Anime! Anime di apostoli, Signore, sono per te, per la tua gloria! Ripeteva nostro Padre.

 

In particolare il Fondatore dell’Opera insisteva sulla necessità di svolgere un’intensa attività con i giovani che lui chiamava “opera di san Raffaele”. Ecco come si esprimeva:

Molte volte vi ho fatto notare, figli miei, che non abbiamo realizzato nessuna iniziativa nostra senza che sia stata preceduta, accompagnata e seguita dall’opera di San Raffaele. E’ un fatto vitale! Non solo perché è in sé un apostolato splendido, ma perché abbiamo il desiderio di aumentare il numero di fratelli in questa gran famiglia. Per questo dobbiamo rivolgerci ai giovani per dargli i criteri per la vita spirituale e ascetica e gli sia così più facile ricevere la chiamata di Dio. Figli miei questo è per noi così necessario come la respirazione! Se no soffochiamo, non è possibile vivere. Siamo una famiglia cristiana e quello che non possiamo fare è chiudere le fonti della vita… Questo è il nostro cammino e non ce n’è un altro. Insistete nella vostra orazione personale che il Signore vi faccia comprendere e amare questa realtà; insegnatelo ai vostri fratelli e sorelle. Dobbiamo chiedere alla Santissima Vergine e ai Patroni di questo lavoro – San Raffaele e San Giovanni Apostolo – l’aiuto del Cielo perché tutti noi comprendiamo la necessità urgentissima e assoluta, senza alcun tipo di eccezione, di cominciare e continuare – senza soluzioni di continuità, senza una pausa – questo lavoro apostolico, che è fondamentale e deve riunire tutte le condizioni di un buon fondamento…” (Meditazione del 5.3.63)

 

 

 

domenica 14 gennaio 2024

Alfonso

 Il mio incontro con Sant’Alfonso è stato apparentemente casuale. C’era in casa un libro “Il Santo dei secoli dei lumi” edizione Città Nuova scritto da un francese e l’ho letto, attratto anche dalla napoletanità del Santo. Mi piacque tanto che ne feci un documentario. Successivamente l’editrice Ares mi ha chiesto di scrivere un libro breve sull’argomento e così sono passato dalle tre pagine del testo del documentario alle 150 del libro “breve”. Un caso di lievitazione scrittoria perché un conto è scrivere un libro, in cui si pensa a una architettura globale del testo, un conto è aggiungere pagine a uno scritto già esistente: viene fuori un grosso articolo giornalistico. 

Strada facendo, anzi strada scrivendo sono passato da una stima per il mio illustre concittadino ad una considerazione affettuosa del personaggio, arrivando ora ad una specie di affetto sconfinato. Sant’Alfonso mi piace proprio e mi risulta sempre più incomprensibile come mai sia così poco conosciuto nella stessa Napoli. Probabilmente il motivo sta negli aspetti così numerosi della sua personalità che è difficile elencare. Consiglio questo librettino che ha il gran pregio di essere breve. Fa bene all’anima e mette di buon umore.

 

venerdì 5 gennaio 2024

mortificazioni

 Mi hanno parlato delle “piccole mortificazioni” quando ho aderito all’Opus Dei. E’ una pratica cristiana costante che consiste nel contrariare la propria volontà o i propri gusti in piccole cose, come rimandare di bere o mangiare qualcosa, oppure mettere in ordine ciò che è lievemente in disordine, oppure saper star zitto quando un intervento può ferire qualcuno e così via. Ho tentato di mettere in pratica il consiglio lungo la mia vita ma ultimamente ho fatto una piccola scoperta che può apparire infantile o di poco conto. Non penso alla mortificazione ma mi dico: faccio questo piccolo piacere a Gesù. Questo cambiamento di prospettiva può apparire insignificante ma mi aiuta molto. Mi ritrovo lungo la giornata a fare diversi atti di affetto per Gesù con in più un pizzico di allegria. Non penso che devo sopprimere un desiderio ma che faccio qualcosa di gradevole per il Signore e per me.

Agli occhi di una persona un po’ scettica può sembrare una sciocchezza ma ritrovo sempre che il cristianesimo “funziona” quando lo vivo da bambino. D’altra parte il consiglio di Gesù è proprio quello di diventare “piccolo come un bambino” (Matteo 18,4).

Volevo rendere partecipe chi legge di questa piccolissima scoperta.

sabato 23 dicembre 2023

Quanno nascente ninno

 

 

Alfonso ha scritto e musicato una trentina di canzoni spirituali fra cui eccelle Quanno nascette ninno. (Ne ha fatto una riduzione breve con cambiamenti: Tu scendi dalle stelle.) Il testo in napoletano è molto vivace e lo compose, lo cantò e lo insegnò per la prima volta a Nola nel dicembre del 1754. La canzone ha un tono di festa e rappresenta il gaudio generale per la nascita di Cristo. E' utile per una meditazione natalizia.

 

Quanno nascette Ninno a Bettlemme

Era nott'e pareva miezo juorno.

Maje le Stelle - lustre e belle Se vedetteno accossí:

E a cchiù lucente

Jett'a chiammà li Magge all'Uriente.

De pressa se scetajeno l'aucielle

Cantanno de na forma tutta nova:

Pe 'nsí agrille - co li strille,

E zombanno a ccà e a llà;

È nato, è nato,

Decevano, lo Dio, che nc'à criato.

Co tutto ch'era vierno, Ninno bello,

Nascetteno a migliara rose e sciure.

Pe 'nsí o ffieno sicco e tuosto

Che fuje puosto - sott'a Te,

Se 'nfigliulette,

E de frunnelle e sciure se vestette.

A no paese che se chiamma Ngadde,

Sciurettero le bigne e ascette l'uva.

Ninno mio sapuritiello,

Rappusciello - d'uva - sì Tu;

Ca tutt'amore

Faje doce a vocca, e po 'mbriache o core.

No 'nc'erano nnemmice pe la terra,

La pecora pasceva co lione;

Co' o caprette - se vedette

O liupardo pazzeà;

L'urzo e o vitiello

E co' lo lupo 'npace o pecoriello.

Se rrevotaje nsomma tutt'o Munno,

Lu cielo, a terra, o mare, e tutt'i gente.

Chi dormeva - se senteva

'Npiett'o core pazzeà

Pe la priezza;

E se sonnava pace e contentezza.

Guardavano le ppecore i Pasturi,

E n'Angelo sbrannente cchiù d'o sole

Comparette - e le dicette:

No ve spaventate no;¶

Contento e riso¶

La terra è arreventata Paraviso.

A buie è nato ogge a Bettalemme¶

Du Munno l'aspettato Sarvatore.

Dint'i panni o trovarrite,

Nu potite - maje sgarrà,

Arravugliato,

E dinto a lo Presebbio curcato.

A meliune l'Angiule calate

Co chiste se mettetten'a cantare:

Gloria a Dio, pace'n terra,

Nu cchiù guerra - è nato già

Lo Rre d'amore,

Che dà priezza e pace a ogni core.

Sbatteva o core mpietto a ssi Pasture;

E l'uno 'nfaccia all'auto diceva:

Che tardammo? - Priesto, jammo,

Ca mme sento scevolí

Pe lo golìo

Che tengo de vedé sso Ninno Dio.

Zombanno, comm'a ciereve ferute,

Correttero i Pasture a la Capanna;

Là trovajeno Maria

Co Giuseppe e a Gioja mia;

E 'n chillo Viso

Provajeno no muorzo e Paraviso.

Restajeno 'ncantate e boccapierte

Pe tanto tiempo senza dì parola;

Po jettanno - lacremanno

Nu suspiro pe sfocà,

Da dint'o core

Cacciajeno a migliara atte d'amore.

Co a scusa de donare li presiente

Se jetteno azzeccanno chiano chiano.

Ninno no li refiutaje,

L'azzettaje - comm'a ddí,

Ca lle mettette

Le Mmane 'n capo e li benedicette.

Piglianno confedenzia a poco a poco,

Cercajeno licenzia a la Mamma:

Se mangiajeno li Pedille

Coi vasille - mprimmo, e po

Chelle Manelle,

All'urtemo lo Musso e i Mascarielle.

Po assieme se mettetteno a sonare

E a cantà cu l'Angiule e Maria,

Co na voce - ccossí doce,

Che Gesù facette: ah aah...

E po chiudette

Chill'uocchie aggraziate e s'addormette.

La ninna che cantajeno mme pare

Ch'avette a esse chesta che mò dico.

Ma nfrattanto - o la canto,

Mmacenateve de stà

Co li Pasture

Vecíno a Ninno bello vuje pure.

"Viene suonno da lo Cielo,

Vien'e adduorme sso Nennillo;

Pe pietà, ca è peccerillo,

Viene suonno e non tardà.

Gioia bella de sto core,

Vorria suonno arreventare,

Doce, doce pe te fare

Ss'uocchie bell'addormentà.

Ma si Tu p'esser'amato

Te si fatto Bammeniello,

Sulo amore è o sonnariello

Che dormire te po fa.

Ment'è chesto può fa nonna,

Pe Te st'arma è arza e bona.

T'amo, t'a... Uh sta canzona

Già t'ha fatto addobeà!

T'amo Dio - Bello mio,

T'amo Gíoja, t'amo, t'a...

Cantanno po e sonanno li Pasture

Tornajeno a le mantre nata vota:

Ma che buò ca cchiù arrecietto

Non trovajeno int'a lu pietto:

A o caro Bene

Facevan' ogni poco ò va e biene.

Lo 'nfierno sulamente e i peccature

Ncocciuse comm'a isso e ostinate

Se mettetteno appaura,

Pecchè a scura - vonno stà

Li spurtegliune,

Fujenno da lo sole li briccune.

Io pure songo niro peccatore,

Ma non boglio esse cuoccio e ostinato.

Io non boglio cchiù peccare,

Voglio amare - voglio stà

Co Ninno bello

Comme nce sta lo voje e l'aseniello.

Nennillo mio, Tu si sole d'amore,

Faje luce e scarfe pure o peccatore

Quanno è tutto - niro e brutto

Comm'a pece, tanno cchiù

Lo tiene mente,

E o faje arreventà bello e sbrannente.

Ma Tu mme diciarraje ca chiagniste,

Acciò chiíagnesse pure o peccatore.

Agg o tuorto - haje fosse muorto

N'ora primmo de peccà!

Tu m'aje amato,

E io pe paga t'aggio maltrattato!

A buje, uocchie mieje, doje fontane

Avrite a fa de lagreme chiagnenno

Pe llavare - pe' scarfare

Li pedilli di Giesù;

Chi sa pracato

Decesse: via, ca t'aggio perdonato.

Viato me si aggio sta fortuna!

Che maje pozzo cchiù desiderare?

O Maria - Speranza mia,

Ment'io chiango, prega Tu:

Penza ca pure

Si fatta Mamma de li peccature.

Scende dalle stelle

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«Sant’Alfonso ha coniugato il buonumore, la tenerezza, l’accoglienza verso tutti, soprattutto i più umili, con una grande intelligenza nel giudicare i comportamenti. Chi lo conosceva era colpito soprattutto dal fatto che sapesse voler bene, e infatti grazie a lui la confessione è cambiata, da tribunale severo, a luogo della misericordia» (dalla Prefazione di Costanza Miriano).

Tra i più nobili dei santi per il suo lignaggio, ma nello stesso tempo il più radicale nel dedicarsi ai più poveri dei poveri, sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1797) è figlio del comandante della flotta da guerra partenopea, avvocato apprezzato, teologo, vescovo, infine santo e Dottore della Chiesa. Pare che fosse di costante buon umore (altrimenti che napoletano sarebbe?), capace fino alla fine di sdrammatizzare i malanni più fastidiosi. È co- nosciuto ancora oggi per le sue opere e le sue canzoni, tra cui Tu scendi dalle stelle.

Pippo Corigliano sul suo profilo Twit- ter si presenta come «un ingegnere pre- stato alla comunicazione». È stato, infat- ti, per molti anni, il portavoce dell’Opus Dei in Italia. I suoi libri sono pubblicati da Mondadori: Preferisco il ParadisoUn lavoro soprannaturaleQuando Dio è con-

tentoSiamo in missione per conto di Dio Il cammino di san Josemaría. Per Ares ha pubblicato in due volumi Cartoline dal Paradiso. La speranza oltre la crisi (2014 e 2017).

pp. 120 € 12

Pippo Corigliano

Alfonso Maria de’ Liguori

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Edizioni Ares

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Pippo Corigliano

Alfonso Maria de’ Liguori

Il più napoletano dei santi
il più santo dei napoletani

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giovedì 14 dicembre 2023

Un'opera di Dio

 Ho sempre ripetuto che il Fondatore dell’Opus Dei non trovava il nome adatto per la sua iniziativa finché un amico gli chiese: “Come va quest’opera di Dio?”. Ecco pensò: il nome giusto è “Opera di Dio” cioè “Opus Dei”. Ultimamente mi son trovato a riflettere su quest’episodio. La difficoltà a trovare il nome derivava dalla missione dell’Opus Dei che non ha altro fine che fare incontrare l’anima con Dio. Non ci sono attività specifiche nell’Opera: l’unico fine è quello. Prima di conoscere l’Opera avevo un’idea approssimativa dell’incontro con Dio, ora una cosa l’ho capita: l’unica cosa che conta è quell’incontro. Naturalmente tante istituzioni hanno un fine analogo, ma nel caso dell’Opus Dei è unico: perciò non è facile spiegarlo a chi non è dentro le questioni di fede.

Quando mi fu proposto di aderire all’Opera nel celibato non m’inquietai più di tanto. Non era la strada per me, pensavo, perché ero fidanzato e avevo fatto già progetti di matrimonio, pur avendo solo diciotto anni. Ma ci fu una meditazione su una parabola di Gesù. Tutte le parabole sono belle ma questa ha un fascino sorprendente, almeno per me. Un uomo viene lasciato per strada, ferito dai briganti. Passa un sacerdote e non si ferma, passa uno della tribù sacerdotale di Levi e nemmeno lui si ferma. Passa un samaritano cioè uno DA CUI NON CI SI ASPETTA NULLA DI BUONO, cioè uno come me: e lui si ferma ad aiutare. E’ stato un colpo: qualcosa si è spezzato e ho deciso di dire di sì al Signore dedicandoGli la vita intera. L’incontro con Dio è quello che conta e in ogni anima assume il suo connotato.

 

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mercoledì 22 novembre 2023

Contento

 Ho già scritto sul buon umore del cristiano ma mi sembra utile ritornare sull’argomento perché forse è più importante di ciò che appare. Scrivo ”forse” per correttezza ma non ho dubbi.

Stare contenti è essenziale per il cristiano perché così  si dimostra consapevole del gran contenuto  della grazia di Dio: “contento” viene da contenere.

 Perciò mi sembra importante partecipare alla santa messa quotidiana, o almeno frequente, con la relativa comunione. E’ il mezzo a nostra disposizione per essere meno indegni del favore di Dio. Non siamo mai degni di ricevere il Signore. Ogni giorno mi sembra più evidente, ma Dio tutto può e così, malgrado tutto, lo riceviamo. Stare uniti a Gesù durante la giornata è il programma di vita che ci tocca. Gesù stesso ci aiuta ma la battaglia resta aperta. Ci sono alcuni appuntamenti che servono per risvegliare il mio desiderio: per esempio il mezzogiorno con l’Angelus oppure la lettura del Vangelo e di un libro “spirituale”; l’esame di coscienza la sera o un tempo di meditazione alla presenza di Dio nel pomeriggio. Ciò nonostante arrivo alla sera insoddisfatto. Naturalmente sarebbe sciocco desiderare di essere “soddisfatto”, però si può fare di più senza essere eroi, come diceva quel tale. Cospargere la giornata di altri piccoli appuntamenti: questa è la strada. Stare contenti è il sintomo che la stiamo percorrendo, o quasi…

 

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lunedì 13 novembre 2023

Mortificazione

  La parola mortificazione non mi è mai stata simpatica. Non solo perché contiene la parola morte ma anche per il significato figurato. Mortificare una persona ha un senso abominevole, mortificare se stessi ha un che di masochistico difficile da digerire. Confesso che a me piace: “fare un piacere a Gesù”. Sembra bambinesco ma pare che i bambini abbiano buona stampa in cielo; in più mi pare un’espressione incoraggiante. Ultimamente per spingermi a fare una “piccola mortificazione” mi dico: “fai un piacere a Gesù” e confesso che funziona. Ci sono tante cose che si presentano sotto forma di comodità o di “sfizio” e qualche volta conviene evitarle: mi dico quella frase e resto contento, anche se lievemente contrariato. Mi va di mangiare qualcosa fuori orario o che non conviene: facciamo un piacere a Gesù e salto l’occasione. Oppure non mi va di fare qualcosa che sarebbe utile: anche allora posso fare un piacere a Gesù e la faccio. Anche se il mio temperamento non è proprio quello di una persona mortificata, mi trovo alla fine della giornata che ho fatto diversi di questi piccoli “piaceri”.

 

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mercoledì 8 novembre 2023

Comunione

 Come molte persone vado alla santa messa ogni mattina e ho la possibilità di ricevere Gesù nella Comunione. Tutto ciò che è quotidiano non è stupefacente ma questa è un’eccezione. Ogni giorno si verifica l’enormità che Gesù in persona entri dentro di me. Più passa il tempo più faccio fatica a comprendere davvero  questo privilegio. Il mio pensiero va a chi non pratica il cristianesimo, compresi i protestanti che, pur essendo cristiani, non credono alla presenza reale di Gesù nell’eucarestia. Mi sembra un privilegio straordinario ciò che la fede cattolica mi propone: Dio entra dentro di me. Avverto una sproporzione fra la figura immensa di Gesù e me stesso: mi sento come una mollica davanti a un gigante. Intendo quelle molliche minuscole che restano sulla tavola e vengono spazzate via. Una sproporzione evidente, eppure Dio fa questo. Non mi sembra giusto smettere di ringraziare il Signore e quasi mi sento in colpa per non apprezzare sufficientemente questo dono e per le distrazioni che si presentano durante la giornata. Pur in  mezzo alle occupazioni quotidiane vorrei mantenere ferme nel fondo del mio cuore la coscienza e la gratitudine per ciò che ho ricevuto. Non sono soddisfatto di me stesso e chiedo al Signore che mi aiuti ad essere più consapevole del Suo gran regalo.



domenica 13 agosto 2023

Esagerare

 Nei testi della santa messa di oggi c’è un brano del Deuteronomio 6: 

Mosè parlò al popolo dicendo:
«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.”

Sono stato colpito dall’esagerazione. Mosè, mosso dallo Spirito Santo, abbonda nelle immagini al di là delle aspettative… per farsi capire dice che bisogna ripetere i precetti a casa, ai figli, e per via; quando mi corico e quando mi alzo. Ma non basta: me li devo legare alla mano, me li devo far pendere fra gli occhi e li devo scrivere sulle porte… Si vede che il fine del discorso è non lasciare alcun dubbio. Non si dice: “devi sempre tenerli presente” si ricorre a immagini efficaci perché sono evidentemente esagerate. Lo Spirito Santo lavora sulla nostra fantasia  perché ce n’è bisogno. E’ proprio dell’uomo pensare che è bene usare tutti i riguardi con Dio ma con moderazione, mentre è proprio la moderazione che viene presa di mira dalla sequenza d’immagini.

Sappiamo che Gesù ha precisato che il primo comandamento è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».

Anche Gesù esagera. I tirchi siamo noi. Signore dammi la misura della non misura. Dammi un cuore grande grande, capace di amarti.

 


mercoledì 2 agosto 2023

L'Opus Dei

 Una rivista mi ha chiesto una scheda che spieghi lo spirito  del Fondatore dell’Opus Dei come anticipatore dell’ultimo concilio. In sintesi forse eccessiva ho mandato questo testo che può essere utile per una prima spiegazione:

Un anticipatore del Concilio Vaticano II fu San Josemaría Escrivá, in particolare per quanto riguarda la santità dei laici. 

Va fatta subito una precisazione. Ci sono due categorie di persone ben distinte: quelli che hanno conosciuto di persona  l’Opus Dei, fondata da San Josemaría, e quelli che ne hanno sentito parlare. Chi l’ha conosciuta  ha un’idea realistica. Chi ne ha sentito solo parlare potrebbe essere influenzato da una deformazione dell’opinione pubblica la cui origine è facile da individuare. I mezzi di comunicazione di massa sono proprietà di persone di cultura laicista, non favorevoli alla fede cristiana. La cultura laicista arriva ad ammirare Madre Teresa di Calcutta ma non può tollerare che nella società civile prevalgano criteri cristiani.L’Opus Dei mira proprio a questo: a formare laici competenti e di fede profonda che stiano in ogni angolo della società. I laicisti vedono quindi generalmente l’Opus Dei con ostilità. Se poi si aggiunge che l’Opera è una realtà con caratteristiche nuove, sconosciute ai più, la frittata è fatta.

Per 40 anni sono stato il portavoce dell’Opus Dei in Italia e ancora trovo qualcuno che mi chiede come mai l’Opera non gode ancora di una buona fama universale. La risposta è nelle righe precedenti.

Che i laici cristiani debbano esser santi è un’ovvietà, almeno nella teoria.   Nella pratica è ancora diffusa l’idea che la santità sia una méta per frati, suore e sacerdoti, mentre i laici si devono accontentare delle mezze misure. Su questo terreno è evidente l’efficacia del messaggio di San Josemaría che ricorda che tutti devono essere santi (“Che la tua vita non sia una vita sterile…” recita il primo punto della sua opera più diffusa, Cammino). Il Fondatore ha illustrato con pedagogia il sentiero della santità per un laico. Mentre gli ecclesiastici hanno le loro funzioni liturgiche e preghiere, il laico deve rendere santo il proprio lavoro e le sue relazioni nelle circostanze più varie. 

La santificazione del lavoro è il gran tema dell’insegnamento di San Josemaría. Un tema che ha aspetti innumerevoli riportabili all’esperienza di ognuno. Una varietà di situazioni, tutte illuminate da  una visione di fede.

D’altra parte, le relazioni umane come l’amicizia e la vita di famiglia hanno un peso fondamentale.

Per una persona di fede l’amicizia, la normale amicizia, è il veicolo naturale per trasmettere la fede. Escrivá per primo era una persona che sapeva essere  amico. Pur essendo impegnatissimo dedicava alle persone che avvicinava un tempo pieno di comprensione e affetto, stimolante per lo spirito cristiano. 

Il messaggio dell’Opus Dei attribuisce la massima importanza allo spirito di famiglia. Le famiglie devono essere focolari luminosi e allegri: chi antepone altri interessi agli affetti familiari non è un buon figlio di Dio. Nello stesso tempo il cristiano è aperto ad un’intensa vita di relazione con gli altri, che per lui è apostolato.

Sia la santificazione del lavoro che le amicizie apostoliche traggono la loro vitalità dal rapporto col Signore. Valorizzare la Santa Messa, la pratica dell’orazione mentale, la recita del rosario, la lettura del Vangelo e di libri spirituali devono accompagnare la coscienza di essere figli amati di Dio . Una persona normale può vivere tutto questo senza dispersioni e approfittando bene del suo tempo.

Questo in sintesi è lo spirito dell’Opus Dei. Non vi sono idee nuove, ciò che è nuovo è l’accento sulla necessità per tutti di tendere alla santità, anteponendo la volontà di Dio alle preferenze soggettive. 

Un messaggio che il Concilio Vaticano II ha diffuso: San Josemaría è stato un precursore da questo punto di vista.